Il tentato omicidio per il motorino riparato male Quattro colpi di pistola esplosi in pieno giorno

Che rumore fanno quattro colpi di pistola esplosi in pieno giorno in via De Lorenzo, nei pressi di via Barcellona? Nessuno, se nessuno denuncia. E se a chiamare le forze dell’ordine devono essere i medici del pronto soccorso dell’ospedale Vittorio Emanuele di via Plebiscito, dove un giovane meccanico incensurato viene portato poco dopo le 15 del 23 giugno 2018. È stato raggiunto da uno sparo: il proiettile gli ha trapassato un braccio, ha attraversato il torace, gli ha perforato un polmone ed è finito nello stomaco. La prognosi, quel giorno, è riservata. Lui è grave, ma si riprenderà. Adesso, a quasi un mese di distanza, cosa sia accaduto quel giorno – per gli investigatori – è chiaro: Alfio Sanfilippo, pregiudicato e sorvegliato speciale 52enne, gli avrebbe sparato con un revolver calibro 38. Avrebbe premuto il grilletto quattro volte, andando a segno solo in una occasione. E tutto per uno scooter che riteneva essere stato riparato male.

La storia comincia la mattina del 23 giugno: il genero di Sanfilippo va nell’officina di fronte a largo Barcellona. Un piccolo garage dentro il quale un ragazzo, meccanico, ripara motorini. Lo scooter Honda Sh bianco della figlia di Alfio Sanfilippo era stato portato lì poco tempo prima: c’era da aggiustare una forcella ma, secondo il genero del pregiudicato, il lavoro non era stato fatto a regola d’arte. Ne nasce una lite prima, una colluttazione poi. Ad avere la peggio è il cliente, che riporta una ferita alla testa e torna a casa. Racconta il fatto alla moglie, che a sua volta lo racconta ai suoi genitori. Alle 14.53 di quel giorno, le telecamere di videosorveglianza messe all’esterno di una casa di via De Lorenzo immortalano le immagini che segnano una svolta nelle indagini.

Si vede Alfio Sanfilippo a bordo di una bicicletta elettrica. Dietro di lui, un uomo a bordo del motorino bianco oggetto del contendere. Gli uomini della squadra mobile riconoscono Sanfilippo con relativa semplicità: era stato arrestato nel 2010 e nel 2015, nell’ambito delle operazioni Revenge 3 e 5 contro il clan Cappello-Bonaccorsi. L’8 aprile di otto anni fa, gli investigatori lo avevano arrestato dentro a una stalla di San Cristoforo nelle sue disponibilità. E con lui c’era Sebastiano Lo Giudice (classe 1977), elemento di vertice della cosca (essendo figlio di una Bonaccorsi), che in quel periodo era latitante. L’arresto, nel 2010, era per favoreggiamento personale con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa.

I poliziotti vanno a casa di Sanfilippo, lo trovano lì: stesi ad asciugare al sole, sul balcone, ci sono dei vestiti blu, del tutto simili a quelli che indossava l’uomo che avevano riconosciuto nelle immagini. In più, tutto in casa sua – compreso lui – fa un pesante odore di profumo, come di cose appena lavate. Gli inquirenti recuperano gli abiti, poi vanno nella stalla lì vicino, in cortile Motta Porto, quella dove lo avevano beccato otto anni fa con Lo Giudice. Dentro ci trovano la bici elettrica e quattro bossoli di calibro 38. Nel frattempo, però, Alfio Sanfilippo scappa. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, il 23 giugno era andato a chiedere al meccanico conto e ragione sia della mancata riparazione del motorino di sua figlia, sia dell’aggressione ai danni del genero. I due – Sanfilippo e il giovane lavoratore – si prendono a schiaffi. Poi il pregiudicato avrebbe perso il controllo, avrebbe tirato fuori dalla cintura la pistola e avrebbe sparato.

Il 17 luglio, dopo una fuga durata tre settimane, i poliziotti lo trovano a breve distanza dal carcere di Brucoli, nel Siracusano, dove stava andando a costituirsi. «Gli avevamo fatto terra bruciata attorno – dice il capo della squadra mobile Antonio Salvago – Non avevamo dato tregua a nessuno: perquisizioni, controlli, interrogatori». Sarebbe stata solo questione di tempo. 

Luisa Santangelo

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