Il silenzio, il denaro e la coscienza di Lorna

Non avevo mai visto un film dei fratelli Dardenne: sapevo che questi due cineasti belgi sono considerati tra i maggiori maestri del cinema europeo ma non sapevo nulla della loro idea di cinema, del loro modo di fare cinema.

Dopo aver visto Il matrimonio di Lorna, che in originale s’intitola Le silence de Lorna (e non è differenza da poco), ho letto che questo film è piuttosto diverso, nel modo di girare, dai precedenti: è per esempio girato in 35 mm., mentre il formato dei precedenti era il 16 mm., con netta preferenza per l’uso della camera a mano.

Ma cosa importano questi dettagli tecnici di fronte alla forza nuda della poesia?

È questo che il film mi ha trasmesso, fin dalle prime immagini e fino alle ultime, quasi insostenibili: la capacità di scavare dentro l’anima di un personaggio con una semplicità e una purezza stilistica che non ricordavo di avere più visto, al cinema, da quando potei vedere due film di Robert Bresson: Il diavolo, probabilmente e L’argent.

La storia narrata nel film è, certo, importante: si narra di come l’albanese Lorna, manovrata a bacchetta da Fabio, un mafioso di origine italiana, voglia risolvere il matrimonio di convenienza con un drogato, che le ha fatto ottenere la cittadinanza belga. Il progetto prevede l’eliminazione del marito mediante procurata overdose. Nessuno se ne accorgerebbe, “è solo un tossico”, dicono, concordi, Lorna e Fabio. Eppure, l’imprevisto arriva, sotto forma di una sorprendente maturazione nella coscienza della ragazza. Altro non è il caso di rivelare, se non che tale maturazione non avrà gli effetti sperati e si risolverà in una stranissima forma di follia.

Più della storia contano, però, i primi piani sul volto di Lorna, che prima è impenetrabile quando la ragazza è chiusa nel suo silenzio di lavoratrice stremata e di pseudo-moglie che non vuole neppure toccare il marito con un dito. Ma poi questo volto si anima: di gioia, quando può acquistare il locale dove sogna di aprire, col vero uomo della sua vita, un bar; di stupore, quando si accorge che è capace di nutrire un vero sentimento di pietà; di raccapriccio, quando capisce la fine che l’aspetta.

Il matrimonio di Lorna è il titolo che veicola, giustamente, la dimensione di denuncia sociale del film, che pure è molto presente: del matrimonio, dunque, in Belgio (solo in Belgio?) si fa mercato, e si finisce per far mercato della vita degli uomini. Non so in quanti film, come in questo, si vedano passare banconote di mano in mano: dall’impiegato di banca a Lorna, dal marito a Lorna, da Lorna a Fabio, e viceversa. Il denaro, la squallida ma indiscussa centralità del denaro nella vita degli uomini è il grande “tema” del film.

Ma poi c’è, soprattutto, Le silence de Lorna, il silenzio che prelude alla parola, l’indifferenza che prelude alla presa di coscienza. Inutile, purtroppo.

Aniceto di Ulm

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