Dopo il Sessantotto niente è stato più come prima. Mario Capanna è partito da questa considerazione per aprire il dibattito alla presentazione del suo ultimo libro, alla Facoltà di Lingue. Un libro che, in linea con una visione ottimistica dei prossimi sviluppi sociali e culturali, è stato intitolato Il Sessantotto al futuro.
“Il Sessantotto ha vinto culturalmente. Ha cambiato i rapporti padri-figli, ha modernizzato la concezione della sessualità, alimentato il pacifismo, proclamato pari dignità tra le persone. Non ha vinto sul piano politico, è vero. Ma il discorso è tuttaltro che chiuso”. Capanna è stato fra i principali leader del movimento. Insieme al professore Emanuele Saverino venne espulso dallUniversità Cattolica di Milano a causa della contestazione. Era coordinatore delle lotte con il Movimento Studentesco e membro del partito Unità Proletaria.
Definendo la globalizzazione «un processo unipolare e antidemocratico», Capanna auspica la realizzazione di tre rivoluzioni simultanee affinché la gente possa vedere riconosciuti i propri diritti e soddisfatte le proprie richieste. La prima rivoluzione, indispensabile per il compimento delle altre due, deve essere quella delle coscienze. La seconda deve essere economica, dunque la sostituzione dellattuale sistema capitalistico con uno alternativo, più equo. La terza rivoluzione, politica.
“Il dibattito sulla falce e martello è ormai anacronistico. I dati reali mostrano che salari e stipendi sono fermi dal 2001 e che il potere dacquisto delle famiglie è pari a zero. Far fronte a questi problemi reali dovrebbe essere una priorità per qualunque governo, soprattutto di sinistra. Il governo Prodi se nè fregato. E tra la fotocopia e loriginale, cioè tra unaltra sinistra e la solita destra, la gente ha scelto loriginale.”Alla luce dei risultati elettorali del 14 aprile, Mario Capanna afferma: “Oggi in parlamento non cè più nessuno che rappresenti i nostri interessi. Ma lo scoramento si può superare. Dobbiamo essere contenti del risultato elettorale. Penso che sia la condizione migliore perché nascano dei movimenti di mobilitazione, per rimettere in moto i grandi movimenti di massa. Ma non sono dellidea che bisogna ripetere il Sessantotto, bensì fare qualcosa di più e di meglio”. Non tutti i presenti sono daccordo con la visione fiduciosa di Capanna, soprattutto quando si parla della situazione in Sicilia, dove il clientelismo è una forma di potere piuttosto radicata.
Il dibattito prosegue tra la paura di alcuni per leccessivo estremismo delle forze vincitrici delle elezioni – in riferimento al preoccupante risultato ottenuto dalla Lega Nord – e le considerazioni autocritiche di altri verso una sinistra giudicata troppo frammentata, incapace di rappresentare la sua stessa gente. Cè anche un po di nostalgia per un movimento generazionale che per la prima volta si oppose apertamente allautoritarismo e alla repressione, rompendo con la tradizione politica precedente e facendosi portavoce della voglia di cambiamento.
È stata anche accennata la questione dellinformazione. La stampa e gli altri media sono fondamentali per la presa di coscienza collettiva dei problemi. Ma se la gente viene informata erroneamente o se linformazione omette dati che invece dovrebbero essere noti a tutti, allora il rischio è il trionfo del sistema politico, che di per sé è basato sulla distorsione della realtà. Secondo Capanna “Linformazione non esiste più. Al suo posto si è affermata la propaganda. I politici investono enormi somme di denaro nellinformazione perché ne riconoscono lenorme potenziale. Così la gente, soggiogata, diventa appendice dellapparato economico-governativo e rinuncia a reagire. Bisogna rompere questo meccanismo di sudditanza”. Capanna conclude: “In una società allo sfacelo, dove il futuro è una minaccia, la soluzione è tornare a riunirsi. Il Sessantotto insegna che lassemblea è uno degli strumenti fondamentali della lotta. Non è il voto, come si vuol far credere, lo strumento più importante della democrazia, ma la partecipazione, il coinvolgimento. Io sono cautamente ottimista e credo che ci siano delle grandi possibilità per il futuro. Perché, come recita uno slogan di quegli anni, «i grandi ci sembrano tali solo perché siamo in ginocchio».”
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