Il salto di Norman

C’è un romanzo, si intitola “Non buttiamoci giù”, di Nick Hornby. Quando lo lessi, mi divertì molto l’idea che il desiderio di suicidarsi vada di pari passo con l’incapacità di farlo. In fondo, quante volte l’abbiamo sentito dire? “Se non passo questo esame, mi ammazzo”. “Se non mi danno un lavoro, mi ammazzo”.  Futilità, sì. E chi esprime questo pensiero lo sa bene, e non occorre avere la donna della tua vita accanto per non farlo, o l’affetto dei tuoi amici. Semplicemente, ammazzarsi è da stupidi, perdere la speranza è da pazzi. Chi te la toglie la speranza? Se non passi un esame, c’è l’appello successivo, se non trovi un lavoro, allora vattene via da questo paese malato, che il mondo è pieno di opportunità.

Qualche giorno fa, un dottorando di Filosofia invece l’ha fatto. C’era nell’aria il sentore che qualcosa di drastico potesse succedere. Ogni giorno ci sentiamo bersagliati, bombardati, e non sai più se è la tua paranoia o qualche mente perversa che gioca a farti sentire inutile: se studi sei inutile, se ti impegni in cose che nessuno capisce sei inutile, se non cerchi la raccomandazione, se non vai al “Grande Fratello”, se non ti prostituisci, allora tutto è inutile. Ho sempre creduto che, in ogni caso, non avrebbero mai potuto scipparti via dalle mani la speranza. Invece con Norman Zarcone ci sono riusciti. Bravi, l’esperimento è completo, la politica dei “falliti, fannulloni, bamboccioni” ha raggiunto il suo scopo. E adesso giù un coro di frasi retoriche e invocazioni alla meritocrazia, che se non sbaglio la Gelmini ha messo al primo posto della sua lista di priorità, mentre Di Pietro le urla in Parlamento il nome di quel dottorando suicida che si è segnato nel foglio del suo discorso.

 

C’è già chi parla di martire, vittima di omicidio di Stato. Caro Norman Zarcone, nessuno ti avrebbe mai tolto la speranza se avessi resistito, in questa terra che in troppi vogliono distruggere. E se avessi gettato la spugna, non sarebbe stata una resa ma un nuovo inizio, in un paese che ci merita, che ci valorizza. Nessuno te l’ha tolta. L’hai gettata tu, da quel settimo piano. Mi piacerebbe capire cosa ti sia passato per la testa, vorrei sentirmi dire che non siamo pazzi a voler conservare la speranza di un cambiamento. Vorrei che lo dicessero quelli che vivono da dottorandi, precari, in attesa di stabilità, di un futuro. Con qualche accenno di speranza, però, anche se finta, bugiarda. Perché è inutile negarlo, quel pensiero l’abbiamo avuto un po’ tutti nella nostra vita. E mi fa paura scoprire che è davvero semplice realizzarlo. Basta un salto.

Roberto Zito

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