Da Ficarra e Picone a Boldi. Per il resto stessa piazza e stessa folla, con la città che per pochi giorni si veste da centro culturale nazional-popolare. Per il proprio ritorno sulla scena pubblica, Ascenzio Maesano – l’ex sindaco di Aci Catena condannato in secondo grado per corruzione elettorale insieme all’ex capo dell’ufficio Ragioneria Orazio Barbagallo – ha scelto la rassegna cinematografica che quest’anno celebra Massimo Boldi, dopo un anno di pausa coinciso con l’inchiesta giudiziaria che a ottobre 2016 scosse la cittadina catenota, mettendo fine di fatto all’amministrazione e, forse, alla carriera politica di Maesano.
L’ex sindaco in questi giorni è stata una presenza assidua tra la la platea che ha accolto Boldi, non lesinando di offrirsi ai fotografi. «In molti lo hanno salutato, anche attuali amministratori e personale comunale. Se uno non avesse letto i giornali – commenta un cittadino – si direbbe che nulla è accaduto in questi anni o quantomeno pare che non siano pochi quelli che lo hanno perdonato». Maesano è stato ritenuto responsabile di avere spartito con Barbagallo una mazzetta da 20mila euro dall’imprenditore Giovanni Cerami – nel frattempo deceduto – per garantire a quest’ultimo il rinnovo del contratto riguardante il servizio di manutenzione e gestione dei software usati dagli uffici comunali, oltre che l’aggiudicazione di una gara d’appalto del valore di 252 mila euro. Un rapporto corruttivo, quello tra Cerami e il Comune di Aci Catena, che secondo i magistrati della procura di Catania avrebbe avuto radici lontane, forse addirittura dall’inizio degli anni Duemila.
Il mese scorso i legali di Maesano e Barbagallo – gli avvocati Enzo Mellia e Giuseppe Marletta, per il primo, e Orazio Consolo e Giuseppe Di Mauro, per il secondo -, dopo avere archiviato la sentenza della corte d’Appello, hanno inoltrato il ricorso in Cassazione. La richiesta della difesa non riguarda una messa in discussione dell’esito del processo, frutto peraltro di un concordato tra le parti che hanno trovato l’accordo nella pena di due anni, undici mesi e ventotto giorni. A essere in ballo è la quantificazione dell’interdizione dai pubblici uffici: i giudici, infatti, hanno stabilito in cinque anni la sanzione. Una durata eccessiva per i legali che sostengono che, essendo stata comminata una pena inferiore ai tre anni (seppure per soli tre giorni), l’interdizione debba essere commisurata alla condanna. Nè un giorno in più né uno in meno.
A differenza dei primi due gradi di giudizio, questo pronunciamento è molto probabile che interesserà soltanto imputati e avvocati. E non solo perché per Maesano e Barbagallo, non appena la condanna sarà definitiva, potrebbe aprirsi la porta della sospensione della pena dovuta al fatto che, tenuto conto dei tempi già trascorsi in detenzione durante la custodia cauteale, il residuo da scontare sarà inferiore ai due anni, ma anche e soprattutto perché l’opinione pubblica sembra già essersi messa alle spalle lo scandalo. «L’altra sera in piazza Maesano era un cittadino qualunque, gravato peraltro di una condanna, ma non sembrava essere così. Pareva quasi che il sindaco fosse ancora lui e non chi stava seduto poche file più avanti», conclude il cittadino.
Nei prossimi mesi Maesano dovrà affrontare altre due beghe giudiziarie: nella prima, legata all’inchiesta su mafia e rifiuti, è stato già rinviato a giudizio; nella seconda, inerente il presunto voto di scambio che avrebbe favorito l’ex consigliere di Catania Riccardo Pellegrino in occasione delle Regionali, si attende la decisione dei magistrati. In entrambe l’accusa rivoltagli è di corruzione.
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