Il regista di matrimoni

Regia e sceneggiatura: Marco Bellocchio
Cast: Sergio Castellitto, Donatella Finocchiaro, Sami Frey, Gianni Cavina, Maurizio Donadoni
Produzione: Filmalbatros, Rai Cinema
Anno: 2005

Sembra che Bellocchio riesca sempre a sconvolgere il suo spettatore. Infatti ci si allontana dalla sala con la mente annebbiata da forti visioni scomposte e con l’imprecisa sensazione di avere vissuto il sogno di qualcun altro.

L’idea di quest’ultimo film, secondo le dichiarazioni fatte dal regista in conferenza stampa, prende forma nella sua mente in seguito ad un evento autobiografico poi fedelmente riprodotto nella pellicola. Il protagonista del film, Franco Elica (guarda caso un regista), un grande Sergio Castellitto, seduto in una spiaggia della costa settentrionale sicula nei pressi di Cefalù, per caso osserva annoiato le riprese di un filmato privo di originalità che un fotografo inesperto e suo grande ammiratore (Maurizio Donadoni) gira ad una coppia di giovani sposi e, dopo un insistente invito del fotografo, accetta di farlo a suo modo, secondo il proprio stile di regia. Dopo il successo del primo filmato, girato a sua arte, accetta di svolgere le riprese del matrimonio d’interessi di Bona Palagonia (Donatella Finocchiaro) figlia bellissima dell’ormai decaduto Principe di Palagonia (Sami Frey, attore già apprezzato da Godard e Clouzot) per cui Elica perderà il senno e la ragione oltre che rischiare seriamente la vita.

Bellocchio racconta di aver vissuto una scena simile a quella della spiaggia in una caletta nella zona di Cariddi e da lì di aver imbastito la storia di un regista confuso e disorientato (sarà autobiografico?) che fugge dalla propria vita privata e lavorativa (si accingeva a realizzare le riprese cinematografiche dei “Promessi Sposi”) per essere travolto dall’attrazione e dall’amore per una donna e per la sua terra.

In realtà, in un incipit volutamente affrettato e confuso rispetto al resto del film, si accenna confusamente ai motivi della fuga di Elica (i nomi non sono mai stati scelti a caso da Bellocchio): la partecipazione al matrimonio di sua figlia con un neocatecumenale e la propria conseguente crisi non tanto mistica quanto intellettiva di uomo ateo sconvolto da una cerimonia svolta tra canti e danze confuse degli invitati, cerimonia a cui la figlia partecipa con uno sguardo assente. A queste immagini di tragica comicità il regista de “L’ora di religione “ ha abituato il suo pubblico sviluppando in esso una strana, piacevole aspettativa verso la critica al bigottismo più bieco e a quel tipo di trasporto spirituale che sfocia nel fanatismo.

La fuga da una realtà che lo disorienta e a cui non riesce a reagire attraverso la sua arte è suffragata dall’ incapacità a realizzare un prodotto cinematografico su una storia troppo “classica”, I promessi Sposi,  per un regista complesso quale Franco Elica si presenta. L’argomento trito e ritrito della fede come salvezza rischia di trascinarlo nella banalità se non intervenisse il genio, l’”illuminazione” della differenza, di ciò che, forse involontariamente, può essere l’unico elemento di congiunzione tra Elica e il romanzo: la figura dell’Innominato e la sua conversione. Bellocchio riesce a capovolgere il significato dell’opera manzoniana costruendola su misura del regista ateo: …e se fosse l’Innominato a trascinare Lucia verso l’ateismo e non viceversa?

La realizzazione di una parte del film in Sicilia propone scene di alta bellezza che dipingono la sacralità di questa terra e i suoi culti semi pagani attraverso cui Bellocchio sembra quasi far pace con il rito cristiano, apprezzando la carnalità e la dolcezza della processione del Cristo morto o le fantasie ossessive rappresentate dai mostri dell’eccentrica villa Palagonia a Bagheria.

Infine, ma non per ultimo, la nota forse più stridente del film, la più contestata e, personalmente, la più apprezzata: l’invettiva scagliata dalle parole di un collega di Elica, il regista Smanna (Gianni Cavina) verso l’incapacità della “Critica” a premiare i validi registi in vita e non post mortem. Smanna, dato per morto dai giornali e dalle televisioni, si rifugia come Elica in una terra di confine per assistere pazzo e glorioso alla sua vittoria del David che nel film si dice di Michelangelo. Nella stessa spiaggia in cui Elica decide di cambiare il soggetto delle sue riprese per ritrovare se stesso e la perduta passione per la regia, Smanna, folle e profetico, scaglia la sua invettiva furiosa contro la critica cinematografica italiana, inscenando una morte pubblica quale novello personaggio pirandelliano, per avere ragione della sua teoria: “In Italia comandano i morti”. Si riferirà al David andato a Massimo Girotti per “La finestra di fronte” qualche mese dopo la sua morte?

Il finale comunque sembra, come per “Buongiorno notte”, parlare di un futuro diverso a cui tendere, poiché dopo un viaggio nel sogno o nell’incubo delle ossessioni la fine è sempre liberatoria. 

catalano

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