«Io Vincenzo Scarantino l’ho visto in tutto per quattro giorni nella mia vita, poi mai più». Giorni, i primi due almeno, particolarmente importanti. Sono quelli in cui il finto pentito della strage di via D’Amelio effettua i famosi sopralluoghi a Palermo nei posti fatidici nei quali si sarebbe attuato il piano stragista per eliminare Borsellino. Con Scarantino c’è Domenico Militello, oggi sostituto commissario coordinatore alla Dia di Palermo, all’epoca uno dei funzionari assoldati nel gruppo Falcone-Borsellino per indagare sulle stragi. Indagato per calunnia nel 2016, viene accusato insieme ad altri colleghi dell’epoca di aver contribuito a imbeccare e manipolare Scarantino. Accusa che successivamente, lo scorso febbraio, viene definitivamente archiviata dalla procura di Caltanissetta.
Entra a far parte di quel pool immediatamente, già «il giorno dopo la strage che uccide Giovanni Falcone». Prima di quel momento, è in servizio alla sezione omicidi ed è l’unico di quel settore che viene distaccato per essere coinvolto nel gruppo. A chiamarlo è direttamente Arnaldo La Barbera, che «aveva preso in maggioranza ispettori, e aveva quindi bisogno di agenti», pensa lui. Dopo il 19 luglio ‘92, verrà distaccata l’intera sezione. Inizia a lavorare al secondo attentato sin dalla sera stessa della strage di via D’Amelio. «Tutta la squadra mobile si presentò in ufficio senza che nessuno l’avesse chiamata», racconta oggi. Il giorno dopo va a identificare con alcuni colleghi i residenti dei palazzi adiacenti a quello di via D’Amelio. Si occupa delle indagini fino a fine ’95. Anche se già dall’anno precedente comincia ad allentare la presa, lavorando soprattutto in ufficio ed evitando trasferte, per occuparsi di gravi questioni familiari.
«Dopo quei sopralluoghi e avergli riportato moglie e figli, non l’ho mai più rivisto – torna a dire -. Gli Scarantino, in ogni caso, li conoscevano tutti, alla Guadagna erano dei pregiudicai. Un fratello aveva anche subito un tentato omicidio», è uno dei ricordi che gli è rimasto impresso. «Il giorno che Scarantino inizia a collaborare non sapevo assolutamente nulla. Mi chiamò Arnaldo La Barbera, cosa strana che il dirigente della mobile chiamasse direttamente, mi disse solamente “domani mattina alle 6 all’aeroporto”, chiudendo subito. Non avevo idea di cosa avrei dovuto fare». Con il collega Guttadauro, che sarà sentito anche lui a novembre, va all’aeroporto di Punta Raisi e da lì partono per Pratica di Mare. Lì trovano ad aspettarli La Barbera, tutti insieme con un elicottero arrivano a Pianosa, dove nel pomeriggio prelevano Scarantino. Da lì rifanno lo stesso tragitto: in elicottero fino a Pratica di Mare e poi in volo con un piper della polizia fino all’aeroporto di Boccadifalco.
«Non sapevo nulla di quello che stava succedendo. Ma non sono stupido, ho capito che forse aveva iniziato a collaborare – dice oggi Militello -. Molto dopo, leggendo le sentenze dei processi, ho saputo che in precedenza lui aveva dato delle indicazioni per la cattura di Giuseppe Calascibetta (il boss assassinato nel 2011, coinvolto nella strage di via D’Amelio da Scarantino e poi scagionato ndr), primaavevo saputo solo di colleghi inviati a Pianosa ma non sapevo che venissero considerati dei colloqui investigativi», spiega. La sera di quello stesso giorno in cui prelevano Scarantino, lui e altri colleghi lo portano a fare un sopralluogo. «Io e Guttadauro siamo rimasti con Scarantino a Boccadifalco, era un arrestato, stava in manette – spiega -. Lo portiamo a fare il sopralluogo quando ci raggiunge di nuovo La Barbera. Che era seduto davanti in una macchina, una Fiat Uno verde, alla guida si è messo Guttadauro, dietro invece ero seduto io insieme a Zerilli e a Scarantino». A seguirli, in coda, ci sono forse delle auto di scorta, ma non ne è certo. Quel servizio, nei suoi ricordi dura fino alle quattro-cinque circa del mattino. Per tutto il tempo Militello rimane ammanettato a Scarantino.
«Ricordo che abbiamo fatto di sicuro dei giri alla Guadagna, ci ha fatto vedere la porcilaia (dove all’inizio viene posteggiata l’auto della strage ndr) – racconta ancora -, ma a interloquire con lui era sempre e solo il dottore La Barbera, nessuno mi disse di prendere appunti su quello che stava accadendo, io non avrei nemmeno potuto collocare quei posti. Io e Zerilli stavamo solo attenti al detenuto, era La Barbera che aveva delle carte in mano, non so se andava appuntando qualcosa». Il suo ricordo sembra piuttosto nitido, mentre elenca un posto dopo l’altro. Fino a un improvviso vuoto di memoria per un solo luogo, forse il più fatidico, di cui sembra non avere alcun tipo di ricordo, suscitando lo scetticismo dei pm. «Ricordo che Scarantino ci ha anche fatto vedere la casa di Calascibetta. E poi una fabbrica, ho sentito parlare di bombole. Poi siamo andati in centro città, forse zona via Roma, ma non ricordo cosa ci ha fatto vedere lì – prosegue -. Non ricordo sinceramente se siamo passati dalla carrozzeria Orofino», ammette però. Non ha ricordi della via Messina Marine, cioè dell’unico posto importante. «Non lo escludo, molto probabilmente ci siamo passati, però io non lo ricordo».
Finiti quei giri, tonano a Boccadifalco, dove Militello si addormenta ammanettato a Scarantino. Successivamente, Militello sa di un altro sopralluogo, a cui però non partecipa, effettuato a bordo di un furgone dai vetri oscurati. «Non ricordo di aver sentito La Barbera alterato, tutto si è svolto abbastanza tranquillamente, non ricordo alterchi o discussioni particolari», riferisce ancora Militello. Ma nessuna sollecitazione e insistenza dei magistrati gli risvegli alcun ricordo sulla carrozzeria Orofino. «So che c’era andata la Scientifica lì. Orofino era stato notato da un collega mentre salutava Salvatore Giuliano, noto mafioso, ho questo ricordo – spiega -, ma non so se questa circostanza fu collegata in qualche modo alla strage e da lì quindi la decisione di quel sopralluogo». Ascoltato solo dopo quasi cinque ore di esame dell’ex collega Giampiero Valenti, Militello sarà risentito a novembre.
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