Il professore capomafia alla conquista dell’America I piani di business oltreoceano di Dimino e Nicosia

Al professor Dimino, la città di Sciacca non bastava più. Tornato in libertà nel 2016 dopo una lunga carcerazione, Cussu Matiseddu, al secolo Accursio Dimino, si era fissato di voler conquistare l’America. Non da gregario, o «da operaio», come diceva lui stesso. Ma «una cosa da minimo diecimila euro a settimana». Perché di gavetta Dimino non voleva sentir parlare, visto il curriculum che poteva vantare: autista e figlioccio del capomafia agrigentino Salvatore Di Gangi, e quindi a conoscenza delle comunicazioni con boss del calibro di Giovanni Brusca, Totò Riina e Matteo Messina Denaro. «Vent’anni di carcere mi sono fatto», ricordava ai suoi interlocutori nelle volte in cui ce n’era bisogno. Poche per la verità, perché in Cosa Nostra agrigentina e non solo, Dimino era conosciuto e rispettato. 

Professore di educazione fisica e impegnato nel commercio del pesce fino agli anni ’90, colleziona due condanne per associazione mafiosa. Esce definitivamente dal carcere tre anni fa e riprende il posto che a Sciacca ha sempre occupato. Nonostante la sua ossessione per non essere intercettato, la Direzione distrettuale antimafia di Palermo ne riscostruisce i piani criminali: la volontà di sottoporre a estorsione la ditta impegnata nei lavori di prolungamento del porto di Sciacca; il progetto di punire un ex dipendente di un’azienda, colpevole di aver avviato una vertenza lavorativa; la rabbia nei confronti del suo avvocato, Giovanni Vaccaro, accusato di non aver messo in atto una difesa adeguata e quindi meritevole di pagarla cara. E ancora i tentativi di infiltrarsi nei lavori di ristrutturazione del complesso di Torre Macauda e il piano per uccidere a inizio 2018 l’imprenditore Paolo Cavataio, «il più ricco di Sciacca» lo definisce Dimino, mosso da invidia e spirito di rivalsa. 

Il delitto sarebbe stato condiviso con Antonino Nicosia (collaboratore parlamentare della deputata Pina Occhionero, arrestato insieme a Dimino) e sarebbe dovuto avvenire in Marocco, dove Cavataio commercia pesce, in modo da ostacolare l’identificazione degli autori e del movente. «Lì (in Marocco, ndr) problemi non ce ne sono – lo rassicurava Nicosia – dici minchia è successo… e ha l’amante e ha quello… capace che ha toccato qualche femmina di qualcuno». Per Dimino, l’imprenditore avrebbe meritato di morire perché gli aveva fatto «un grave sgarro»: aveva cioè acquistato un magazzino a Sciacca in cui lui e i suoi fratelli avevano lavorato per molto tempo.

Negli ultimi due anni i maggiori sforzi di Nicosia e Dimino si concentrano sul business negli Stati Uniti. Per inserirsi, il mafioso avvia una serie di contatti con soggetti originari di Sciacca e Castellammare del Golfo ma residenti da diverso tempo oltreoceano. Secondo gli inquirenti cerca aiuto in Michele Domingo, originario di Castellammare ma da anni emigrato negli Stati Uniti e fratello del più noto Francesco, detto Tempesta, più volte definitivamente condannato come capo della locale famiglia mafiosa e tornato in libertà, dopo una lunga carcerazione, nel 2015. Dimino entra in contatto anche con altri due castellammaresi: Antonino Mistretta e Stefano Turriciano. 

Le maggiori aspettative, tuttavia, sarebbero state riposte in Sergio Gucciardi, imprenditore originario di Sciacca che gestirebbe dei bar a New York in cui, a detta degli indagati, si eserciterebbe gioco d’azzardo e gestione illecita di slot machine. Gli inquirenti annotano diversi dialoghi che testimonierebbero l’interlocuzione avviata, ma agli atti Gucciardi non risulta indagato. «Noialtri veniamo qua a fare gavetta?, gli ho detto. Noi vogliamo lavorare, vogliamo fare una cosa insieme, ma senza fare gavetta – spiega Nicosia a Dimino, raccontando di una telefonata avuta con Gucciardi – Gli ho detto non funziona così, che viene qua per mille dollari alla settimana? E che abbiamo bisogno di queste cose? ]…] Se non abbuscamu diecimila dollari alla settimana niente abbiamo fatto, gli ho detto, noi di un’attività abbiamo bisogno. Io mi metto di lato, ma almeno Cussu (il soprannome di Dimino, ndr) la merita». «Minchia io ho vent’anni di galera – è la replica del mafioso – bisogna sapere se le hanno le regole». «Se non le hanno, gliele insegniamo», replica Nicosia. 

E in effetti i due incontrano Gucciardi più volte in Sicilia e poi raggiungono gli Stati Uniti una prima volta, per un mese, nel maggio del 2018. Mentre proprio oggi (all’indomani dell’operazione) sarebbero dovuti partire una seconda volta. Un pericolo di fuga che ha portato all’urgenza del provvedimento di fermo.

Salvo Catalano

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