Il procuratore De Raho: «Mano occulta dietro alle stragi» «Serve imprescrittibilità per reati di mafia e terrorismo»

«Crede a un livello occulto dietro le stragi?» La domanda arriva diretta da una studentessa dell’istituto Don Bosco Ranchibile al procuratore nazionale antimafia Federico De Raho, invitato a parlare a Palermo davanti alla platea di studenti. La risposta è più sorprendente della domanda: «Personalmente sì, perché ci sono delle situazioni e delle ambiguità che nel nostro modo di pensare non si spiegano – ha risposto il procuratore – ci sembra che qualcosa in più vada fatto per capire quale è stata la reale causa e quali le spinte dietro determinate stragi. Penso ad esempio al depistaggio gravissimo seguito all’omicidio di Peppino Impastato, ucciso 40 anni fa, o all’omicidio di Pio La Torre, che stava lavorando alla legge n.646 poi nota come La Torre- Rognoni sulla fattispecie mafiosa e che inserisce lo strumento della confisca nelle misure di prevenzione. La mafia ha temuto che lo strumento della confisca potesse indebolirla». Nel corso dell’ incontro, introdotto da Domenico Saraniti, direttore dell’istituto don Bosco Ranchibile e da Lia Sava, procuratore aggiunto al tribunale di Caltanissetta, diversi sono stati i temi affrontati con gli studenti, dal racket al terrorismo, dal processo sulla trattativa Stato – mafia alla necessità di ugire uniti nelle procure.

«Quando si portano avanti determinate indagini il pm, convinto dell’ accusa, la sostiene fino alla sentenza, ma non ci si può mai attendere che nello svolgimento delle proprie attività il Csm e l’Anm intervengano a favore di un magistrato, soprattutto quando non si tratta di accuse infamanti». Il riferimento è all’accusa lanciata nei giorni scorsi dal pm Di Matteo che ha confessato di essersi sentito isolato nel corso del processo trattativa, e di non aver avuto il sostegno dai colleghi del Csm e dell’Anm. «È evidente – ha aggiunto il procuratore nazionale – che sulla trattativa ciascuno abbia il suo punto di vista, ma associarsi o sostenere un pubblico ministero vorrebbe dire già avere una tesi, sostenere il pubblico ministero avrebbe fatto pensare che si è tutti in una direzione finendo con incidere e sostenendo una tesi nell’ambito del processo. Per quanto mi è riguardato, ogni volta che il clan dei Casalesi mi ha rivolto delle intimidazioni o minacce, non mi sono mai sentito intimidito o minacciato, chi svolge un ruolo di garanzia per il cittadino non può sentirsi minacciato o condizionato. Chi ha un ruolo come il nostro non può mai essere influenzato da una minaccia, noi abbiamo il compito di rappresentare lo Stato. Poco prima della sentenza il magistrato Nino Di Matteo è venuto a rappresentarmi le sue ansie – ha concluso – e io gli ho espresso la certezza che il magistrato che svolge il suo lavoro deve essere solo soddisfatto di quello che ha fatto perché dare una verità e consentire che si svolga il processo è un passo importante, a prescindere dalla sentenza». 

Il procuratore nazionale ha poi auspicato che «l’imprescrittibilità per i reati di mafia e terrorismo, evitando così il rischio che cadano in prescrizione». E ha ricordato, allo stesso tempo, che «in Sicilia tantissimo si sta facendo contro la criminalità organizzata da molto tempo, questo determina il mio ottimismo sulla certezza che tutte le mafie verranno annientate consentendo a questa società di vivere libera». Eppure, oggi è il giorno in cui trapela la notizia dell’ l’aggressione ai danni del collaboratore di giustizia della ‘Ndrangheta mentre si trovava in una località protetta. «È molto grave si sia verificato un episodio di questo tipo, lo Stato ha il dovere di garantire la sicurezza di chi collabora, dei testimoni di giustizia e di chi ha dimostrato la propria vicinanza con la denuncia. Bisognerà comprendere come ciò sia avvenuto, diverse invece sono le modalità attraverso le quali si garantisce l’incolumità a chi è vicino allo Stato e collabora. A nessuno può essere chiesto di essere eroe. La vittima deve essere protetta. Comprendo che in determinati territori è difficile denunciare, ma dove ci sono reti di associazioni Antiracket a denunciare si è insieme e si è in tanti, senza esporre il singolo. Lo Stato può acquisire determinate informazioni con le sue professionalità evitando di esporre a rischio cittadini che hanno difficoltà. La denuncia può arrivare in un secondo momento». 

Il procuratore nazionale antimafia si è poi soffermato su alcune misure a tutela delle vittime per prevenire la diffusione delle mafie: «La sospensione della potestà genitoriale sottrae i minori alle famiglie mafiose. Ho potuto constatare da procuratore della repubblica di Reggio Calabria il successo in un caso in cui gli stessi genitori vedendo la figlia così appagata e serena hanno preferito proseguire e non farla rientrare». Infine, una battuta sulle divisioni tra procure che fino a pochi anni fa hanno causato fratture e conseguenze sulla giustizia:«Nella squadra e nello sport tutti devono essere forti allo stesso modo, – ha aggiunto – così nel lavoro tutti devono avere di fronte lo stesso obiettivo, quindi condividere il progetto di contrasto alla mafia, condividendo le stesse modalità nel rispetto della segretezza delle indagini. Purtroppo negli anni passati non tutti hanno condiviso gli stessi ideali e questo ha determinato un ritardo nel contrasto alle mafie». Poi, da procuratore nazionale con delega all’antiterrorismo, una rassicurazione sul livello di allerta e prevenzione degli attentati nel nostro Paese: «Abbiamo una specializzazione nelle forze di polizia che nessun altro Paese ha, mi rendo conto, da procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, – ha osservato – del divario tra il nostro livello di conoscenza e quello del resto d’Europa, dove non hanno idea del livello investigativo che bisognerebbe seguire contro le mafie, noi abbiamo un’esperienza quarantennale imposta dalle stragi, negli altri Paesi questo non è avvenuto per questo le mafie stanno andando altrove. Applichiamo lo steso metodo per il terrorismo, per questo siamo già pronti e questo finora ci ha consentito di prevenire gli attentati, ma da noi il livello di attenzione è altissimo».

Antonella Lombardi

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