Chi non sognerebbe di possedere un terreno, grande come circa metà campo di calcio, con vista sulla Valle dei Templi? Magari attiguo a un lussuoso albergo e addirittura proprio all’interno del parco archeologico? E, perché no, pagarlo appena diecimila euro? Per coronare il suo sogno, l’83enne imprenditore Vincenzo Sinatra ci ha impiegato dieci anni, ha smosso mari e monti e fatto carte false. Secondo la Procura di Agrigento, però, «false» nel senso letterale del termine. Grazie all’avallo di una pletora di figure – politici, assessori e funzionari della Regione, dirigenti della Soprintendenza e del Genio civile, comandanti della polizia municipale – a disposizione dell’albergatore, «un potente» ad Agrigento nella definizione del giudice per le indagini preliminari che ne ha disposto gli arresti domiciliari.
Le indagini della Digos mettono in fila tre storie: la vendita da parte della Regione di un terreno da 3.400 metri quadri a Sinatra, nonostante quel bene fosse inalienabile e soggetto a vincolo archeologico, trovandosi all’interno dell’area dichiarata patrimonio Unesco; le pressioni per scongiurare lo sgombero della sua struttura alberghiera, l’Hotel Valle dei Templi, disposto per il mancato adeguamento del sistema antincendio; e i tentativi di evitare la revoca di un finanziamento da quattro milioni di euro per la ristrutturazione dell’albergo. Una vicenda, quest’ultima, in cui svolge un ruolo di primo piano Gaetano Armao, avvocato di Sinatra e, oggi, vice di Nello Musumeci alla Regione. È lui infatti ad «andare all’assalto» dell’allora assessora Mariella Lo Bello, per convincere il funzionario Gianluca Guida, che aveva riscontrato delle irregolarità nella pratica, a tornare sui suoi passi. Armao non vuole sentire nominare la parola pressioni e rivendica di aver agito in qualità di legale dell’imprenditore, sottolineando di non essersi più occupato del caso da quando è stato nominato assessore nella nuova giunta. Armao non è l’unico assessore tirato in ballo. Sinatra e i suoi fedelissimi, a febbraio 2018, puntano anche sull’assessore alle Attività produttive, che nell’intercettazione viene chiamato erroneamente «Todaro», ma che corrisponde a Mimmo Turano. E il canale per agganciarlo sarebbe Vincenzo Fontana, «suo amico fraterno», nonché ex deputato agrigentino all’Ars ed ex presidente della provincia.
La rete di contatti del potente imprenditore si estende da Agrigento a Palermo. Emblematico è il caso della concessione e poi dell’acquisto del terreno demaniale attiguo all’hotel. I tentativi di Sinatra iniziano nel 2002: per due volte la richiesta – avanzata non all’assessorato ai Beni culturali che ne avrebbe la competenza, ma a quello alla Presidenza, dove si trova la funzionaria Dania Ciaceri (oggi indagata per abuso d’ufficio) – viene bocciata dal soprintendente ai Beni culturali di Agrigento, nonostante il parere favorevole nel 2005 dell’allora esponente della giunta Cuffaro, Michele Cimino, pure lui agrigentino. Ma fino al 2009 le ambizioni di Sinatra si infrangono sui muri posti dalle sovrintendenti Graziella Fiorentini e Graziella Cosentino. Quest’ultima sottolinea come «l’uso esclusivo che si proporrebbe per quella sezione di giardino da parte di un’iniziativa privata sarebbe in conflitto con l’esigenza di assicurare l’indispensabile godimento sociale di un’area ricca di suggestioni storiche e paesaggistiche» e sarebbe «incompatibile con la destinazione culturale del bene».
Questa visione tuttavia cambia con l’insediamento alla soprintendenza di Agrigento dell’architetto Pietro Meli. È lui che nel 2010 accoglie l’ennesima richiesta di Sinatra. Secondo il gip non è un caso che l’imprenditore presenta una nuova istanza pochi giorni dopo l’insediamento di Meli. «È conforme allo svolgersi dei fatti – scrive il giudice – che Meli sia stato compulsato da Sinatra e che di ciò fosse stata messa a conoscenza la dirigente Ciaceri». Meli non solo dà il via libera alla concessione ma allarga la quantità di terreno che, di lì a poco, diventerà oggetto di vendita. Va in atto «la trasformazione kafkiana di un bene pubblico, inalienabile patrimonio dell’umanità in proprietà esclusiva di un privato».
Il miracolo di trasformare una concessione in una vendita porterebbe poi di nuovo la firma della funzionaria Ciaceri. Non avendo risposta dal Genio civile, sollecitato nel calcolare un canone annuo del terreno, Ciaceri decide di rivolgersi alla Soprintendenza, ancora guidata da Meli. Nella richiesta, però, va oltre e chiede un parere sulla vendita del fondo in concessione, nonostante fino a quel momento nelle istanze di Sinatra mai si era fatto riferimento all’acquisto dell’area. E il soprintendente Meli acconsente, dimenticandosi – sottolinea il gip – dell’inalienabilità di un bene simile, e del fatto che la competenza sulla decisione spettasse all’assessorato ai Beni culturali.
Sulla base di questo via libera, Sinatra avrebbe acquistato una parte dei terreni contesi, pari a mille metri quadri, mentre sulla restante sarebbe rimasta una semplice concessione con l’obbligo di manutenzione e piantumazione di alberi. E invece, con un tratto di penna, la funzionaria Ciaceri avrebbe sommato le due aree in un unico atto di vendita: Sinatra diventa così proprietario di 3.400 metri quadri. E l’incredibile moltiplicazione continua nell’ufficio del notaio Salvatore Di Liberto: al momento della compravendita la superficie indicata aumenta ancora di 400 metri quadri. Nessuno eccepisce nulla. A mettere la firma sull’atto per conto della Regione è sempre Ciaceri. Con una spesa (che il gip definisce «vile») di 10mila 608 euro, l’albergatore si accaparra un’area di 3.809 metri quadrati. Che, anziché gli alberi, finirà per ospitare le auto del personale dei clienti dell’Hotel della Valle.
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