“Il polverone” al Teatro Bellini: quando l’arte è veggente

Ieri una grande nube di polvere sabbiosa ha ricoperto la Sicilia, come succede di tanto in tanto, da secoli. Eppure il polverone sabbioso di questo fine Maggio siciliano ha qualcosa di metaforico: sembra voler rappresentare la politica siciliana all’apice della sua opacità. Ma non è dato a noi comuni mortali, capire ciò che si nasconde dietro questo grande polverone, questo insabbiamento innaturale, cronico, irresistibile, impenetrabile e arcano.

Tempesta di sabbia, foto di repertorio, tratta da www.agrigentooggi.it

Ecco che intervengono le capacità degli artisti. Proprio in questi giorni, al Teatro Bellini di Palermo e per la stagione del Teatro Stabile Biondo, vanno in scena le ultime repliche de “Il polverone” di Michele Perriera, per la regia di Gianfranco Perriera, scene di Dario Taormina, luci di Pietro Sperduti e con Serena Barone, Roberto Burgio, Aurora Falcone, Giuditta Perriera, Elena Pistillo.  Lo spettacolo è in replica dal 3 Maggio fino al 26, scritto tanti anni fa da Michele Perriera e messo in scena dal figlio Gianfranco insieme ad altri due scritti del padre, aumentandone la drammaticità e comunicando il disorientamento dovuto appunto, al polverone.

L’intuizione del genio di Michele Perriera non poteva essere più illuminante per noi, comuni fruitori dello spettacolo teatrale come quello dei burattinai della politica. E infatti come burattini sono rappresentati alcuni personaggi  della messa in scena appositamente vaga e intricata. Perriera coglie l’attimo, il significato, l’annebbiamento per come deve essere fatto. Spettacolarmente, come la nube polverosa e sabbiosa di questi giorni.

Michele Perriera, dicevamo, l’aveva scritto tanto tempo fa, immaginando e sapendo prevedere, da grande artista veggente com’era, che l’insabbiamento della Sicilia sarebbe durato ancora molto, fino al tempo in cui i propri figli l’avrebbero  rappresentato e i propri nipoti riconosciuto, nel palco come nella realtà di ogni giorno.

Elena Pistillo, Serena Barone e Giuditta Perriera in “Il polverone”. Foto di Gianfranco Spatola

Mondo insabbiato, polveroso, confuso, quello siciliano. La coltre di polvere sembra ricoprire il palco come case e oggetti tutto intorno nell’Isola, e offusca la mente, ci rende sballottati e privi quasi di senso, se non quello della spregiudicatezza, del caracollare fine a se stessi: a sinistra, a destra al centro, un poco ovunque, trasformandosi da sinistra a destra liberamente, come i califfi della nostra Assemblea regionale siciliana e l’esercito d’amministratori “del sentito-dire” che popolano gli uffici di Comuni, enti, “Ato”, municipalizzate e gli innumerevoli carrozzoni  amministrativi e di sotto-governo locale e regionale che infestano la Sicilia, l’Italia, l’Europa.

La scena organizzata da Dario Taormina gira intorno a quella tolda di nave che è sempre ferma e che potrebbe essere un punto di riferimento nel porto delle nebbie: chiusa dal polverone avanzante, che non può penetrare la nube, eppure c’è, è lì visibile, se la si vuol vedere. E le tre donne, lassù, salutano in abiti banali ciò che nemmeno vedono, tanto che le attrici, Serena Barone, Giuditta Perriera, ed Elena Pistillo, guidate dal maestro Gianfranco Perriera, trasmettono “a pelle” il disorientamento o l’alienazione, ovvero quello che Giacomo Baragli, grande artista e intellettuale palermitano degli anni 60, 70 e 80, e padre del pittore palermitano Guido, amava appellare in tedesco “entfremdung”, disorientamento, alienazione, appunto, per descrivere la sensazione del vivere a Palermo e in Sicilia.

Un’alienazione che deriva anche dalla convinzione di “star bene”, come dichiara fin dall’inizio nello spettacolo il protagonista, sapientemente interpretato da Roberto Burgio e che ci fa sentire noi stessi nell’alienazione indotta dai messaggi mediatici sovrapposti e confusionari, riducendoci a burattini o per lo meno dovendo contrastare questo destino con tutte le proprie forze. Eppure il poeta, l’artista, ovvero il personaggio di Burgio, riesce a identificare qualcosa, riesce a “star bene” tuttavia e a osservare, a decifrare con la sua mente, per lo meno sin quando rimane libera.

C’è un controllo di tutto questo? C’è una supervisione centrale del polverone nella nostra vita?

Gianfranco Perriera la rappresenta, con le dovute distanze, simboleggiate anche dal costume “atipico” rispetto agli altri, dell’altra protagonista, impersonata dalla dinamica Aurora Falcone, che sembra saper tirare i fili, pur restando l’”angelo senza ali” colei che guida verso una speranza che comunque c’è.

Elena Pistillo, Roberto Burgio e Aurora Falcone in una scena di “Il polverone”. Foto di Gianfranco Spatola.

E mentre il polverone avanza, ci diamo all’alienazione e all’intorbidimento mentale fagocitato dalle visioni del tubo catodico. Non ci interessa più nulla, né le vittime del polverone, purtroppo copiose al nostro fianco, né l’eventuale possibilità di porvi rimedio, abbandonandoci colpevolmente alla filosofia gattopardesca: accettiamo il polverone ineluttabilmente, fatalisticamente e forse non cambierà mai nulla.

Non c’è giorno migliore di oggi 23 Maggio, anniversario della strage di Capaci e della morte di Giovanni Falcone, per andare a vedere “Il polverone” di Michele e Gianfranco Perriera. Ci farà riflettere sulla condizione reale e protratta nei decenni, forse nei secoli, del vivere in Sicilia e delle tragiche implicazioni dei polveroni giudiziari, politici e sociali. Attorniati dalla polvere sabbiosa, elemento reale e surreale al contempo,  e parte integrante della natura stessa dell’Isola.

 

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Gabriele Bonafede

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