LA PREFAZIONE DI UN NOTO MAGISTRATO AL VOLUME “DALLA PARTE SBAGLIATA” DI ROSALBA DI GREGORIO E DINA LAURICELLA
Cosa c’è di più difficile della capacità di autocritica? Forse, niente. Eppure, come diceva Cesare Pavese, “l’autocritica è un mezzo superiore di se stessi”. Ma, evidentemente, l’ammissione dei propri errori e dei propri limiti, resta appannaggio di pochi. C’è chi difetta di consapevolezza e chi persevera per comodo. In entrambi i casi, la mancanza di autocritica determina corto circuiti della ragione e distorsioni della realtà.
Le conseguenze sono sgradevoli. Soprattutto se questa carenza si manifesta nella vita sociale. Antimafia e giornalismo, ad esempio. Sul primo tema, il nostro giornale, sin dall’inizio e quasi in solitudine, si è speso per denunciare l’abuso quotidiano che si perpetra in Sicilia nel nome della legalità. Abbiamo più volte scomodato Leonardo Sciascia e la sua perfetta e sempre attuale analisi sui ‘Professionisti dell’antimafia’ che forse, oggi, sarebbe meglio chiamare gli affaristi dell’antimafia.
Il secondo tema è ancora più scottante. Riguarda la libertà di stampa. Tutti sappiamo che l’Italia è agli ultimi posti delle classifiche mondiali, per quanto riguarda le democrazie. Eppure, se a ricordarlo è Beppe Grillo, succede il finimondo. E per risposta, la stampa (tranne, ovviamente, qualche eccezione) gli risponde attaccandolo subdolamente. O dimostrando uno spirito critico che con i poteri forti risulta invece del tutto sopito. Così si generano i mostri.
Eppure a ragionare su questi fatti non è solo un politico come Grillo. Un monito sia sul ruolo della stampa, sia sull’autoreferenzialità dell’antimafia, arriva, ad esempio, da Domenico Gozzo, procuratore aggiunto di Caltanissetta, che più di una volta ha dennciato l’abuso della bandiera della legalità da parte di gruppi di potere interessati solo al proprio benessere.
Il magistrato, nella prefazione al libro Dalla parte sbagliata, di Rosalba Di Gregorio e Dina Lauricella, edito da Castelvecchi, pubblicata oggi dal Fatto Quotidiano, non usa eufemismi. Parlando del tema dei pentiti, dell’ingiusta detenzione di sette persone accusate di essere responsabili della strage di via D’Amelio, e dalle accuse subite da Rosalba di Gregorio, rea di avere fatto il suo mestiere di avvocato, non esita a parlare dell’urgenza di una sana autocritica. Della magistratura, certo, ma soprattutto della ‘libera stampa che non ha funzionato’.
Leggiamo qualche passo insieme:
“La verità è che dovremmo limitarci ad ammettere i nostri errori. Dopo le sentenze già intervenute sul Borsellino quater, e senza discutere di prove – scrive Gozzo – dobbiamo o no discutere di questa giustizia, di questa stampa, di questa società, che secondo me, negli anni Novanta, hanno, almeno in parte, fallito? Dobbiamo discutere di chi ha consegnato per 17 anni le chiavi della vita di sette persone innocenti per il reato di strage ad un falso pentito, Scarantino?”.
“Dobbiamo avere il coraggio di discutere di una regola, quella della «frazionabilità» delle dichiarazioni dei collaboranti, che forse andrebbe ripensata, perché consente a «collaboranti» scarsamente credibili in via generale di essere utilizzati «per ciò che serve», aprendo il fianco a possibili strumentalizzazioni probatorie? Dobbiamo discutere del fatto che, pur con tutte le considerazioni contenute nelle passate tre sentenze sulla poca credibilità di Scarantino il processo basato sulle sue dichiarazioni è arrivato sino allultimo grado, ed è stato approvato anche in Cassazione?”.
“Cosa non ha funzionato? Abbiamo il dovere di chiedercelo. Perché io penso che in questa triste storia nessuno dei relè dello Stato democratico ha funzionato a dovere. Non ha funzionato la Polizia. Non ha funzionato la Magistratura. Non hanno funzionato i controlli, sia disciplinari sia penali. Non ha funzionato il Csm. Non ha funzionato la cosiddetta Dottrina. Ma, soprattutto, non ha funzionato la «libera stampa», che dovrebbe essere, e non lo è stata, il vero cane da guardia di una democrazia”.
Poi Gozzo si sofferma sull’antimafia tanto di moda in Sicilia:
“In ultimo, qualche breve considerazione, permettetemi, sul cosiddetto fronte antimafia: il movimento antimafia, che è di importanza basilare in uno Stato democratico, deve però essere anchesso democratico, e rispettoso delle opinioni di tutti. «Non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu la possa esprimere», diceva qualcuno più saggio di me. Isoliamo gli intolleranti per mestiere. Perché dobbiamo viverci tutti insieme, in questo nostro Stato. E dobbiamo edificarlo tutti insieme, su solide basi di verità, anche a costo di ammettere verità scomode. È un debito, questo della verità, che tutti dobbiamo pagare a chi, in quegli anni, perse la vita per una idea di Giustizia e di antimafia”.
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