Regia, attori e scenografia made in Sicily. Se il tentativo di depistaggio per ostacolare le indagini della Procura di Milano sui vertici Eni fosse un film, l’Isola vi giocherebbe un ruolo da protagonista. Perché a tirare le fila di questa spy story sarebbe il potente avvocato di Augusta Piero Amara, legale della multinazionale a sei zampe in diversi procedimenti ambientali. Inoltre – ed è questa la vera novità dell’operazione che oggi ha portato all’arresto di 15 persone a seguito delle indagini della Procura di Messina e di Roma – architrave di questa operazione sarebbe stato un pubblico ministero della Procura di Siracusa: Giancarlo Longo, adesso in carcere.
Il magistrato in tre anni avrebbe ricevuto oltre 88mila euro oltre ad alcuni viaggi, e in cambio avrebbe costruito prove false per avvalorare la tesi del complotto contro l’ad di Eni Claudio Descalzi. Già da alcuni mesi i magistrati milanesi avevano ipotizzato che fossero costruite ad arte le accuse provenienti dalla Sicilia rispetto a un fantomatico gruppo (fatto da funzionari Eni, agenti dei servizi segreti nigeriani e ambienti finanziari italiani) che avrebbe avuto l’obiettivo di destituire Descalzi. Quello che, però, fino ad ora i pm lombardi non avevano ipotizzato è che il pubblico ministero che a Siracusa aveva dato credito a queste tesi, cioè Longo, fosse parte attiva del sistema. E non, quindi, inconsapevole destinatario di false informazioni.
È la Procura di Messina – che per competenza indaga su eventuali condotte illecite dei magistrati di Siracusa – a mettere in fila i pezzi di questa storia. In cui il pm Longo entra il 14 agosto del 2015. La vigilia di Ferragosto Alessandro Ferraro (collaboratore dell’avvocato Amara) deposita alla Procura di Siracusa una denuncia in cui racconta di essere stato sequestrato da tre uomini armati, due di colore e un italiano con accento milanese, che gli avevano intimato di riferire informazioni su un deposito illecito di rifiuti radioattivi a Melilli, di cui però lui non era a conoscenza. I fatti contenuti nella denuncia finiscono qui. Successivamente nel documento Ferraro sostiene di aver intuito il reale motivo del sequestro: e cioè il fatto che lui fosse venuto a conoscenza dell’esistenza di un’organizzazione criminale, con base a Siracusa e guidata dall’imprenditore ligure Gabriele Volpi (da decenni trasferitosi in Nigeria), che mirava a destabilizzare il management di alcuni gruppi imprenditoriali italiani, tra i quali l’Eni.
Secondo la ricostruzione dei magistrati messinesi, a fronte di questo documento il pm Longo avvia le sue indagini non tanto sul rapimento (che non verrà mai provato), quanto sull’ipotesi avanzata da Ferraro. Il tutto senza informare il procuratore capo di Siracusa. Qualche mese dopo, il 28 ottobre, Ferraro manda, con busta raccomandata inviata alla segreteria di Longo, un documento a firma del tecnico petrolifero Massimo Gaboardi che sostanzialmente confermava l’esistenza di un’organizzazione che mirava a destituire l’ad di Eni. L’1 marzo il sostituto procuratore convoca Gaboardi e l’audizione si svolge «incredibilmente – si sottolinea nell’ordinanza di arresto – senza I’assistenza di personale di polizia giudiziaria o di un segretario ed esclusivamente alla presenza del magistrato, il quale stilava di persona il verbale di sommarie informazioni».
Ma c’è di più. Tramite una consulenza informatica sui pc di Longo, la Procura di Messina scopre che il verbale di quell’audizione è «materialmente e ideologicamente falso», perché «l’orario di creazione del file non coincide con l’orario riportato nel verbale stesso», ma soprattutto perché il contenuto sarebbe stato ispirato da un altro file – di cui è rimasta traccia sul pc del magistrato, nonostante fosse stato cancellato -, che risulta creato quella mattina, alcune ore prima dell’audizione, dall’avvocato Giuseppe Calafiore, socio di Amara. Successivamente, sentito dai pm messinesi, il cognato di Gaboardi testimonia che lo stesso Gaboardi sarebbe stato pagato da Ferraro, «cinquemila euro al mese», per dichiarare il falso. Il piano – sottolineano gli inquirenti – sarebbe stato orchestrato «con la regia occulta dell’avvocato Amara (legale di Eni) il quale, avvalendosi dell’asservimento del Longo, era il promotore della complessa operazione giudiziaria finalizzata ad ostacolare I’attività di indagine svolta dalla Procura di Milano nei confronti dei vertici dell’Eni». Aprendo il fascicolo, e gestendolo da solo per un lungo periodo, Longo sarebbe riuscito ad acquisire informazioni dalla Procura di Trani e da quella di Milano che indagavano su vicende analoghe legate a Eni.
Il rapporto tra Longo e il gruppo di Amara sarebbe servito al pm siracusano anche nel momento in cui ha dovuto difendersi in sede disciplinare, a fronte delle richieste di chiarimenti del procuratore capo Paolo Giordano. Alla sua memoria, infatti, avrebbe contribuito con suggerimenti e correzioni lo stesso avvocato Calafiore. Tra le contestazioni a cui rispondere c’è il motivo per cui all’inizio di questa storia, il 14 agosto del 2015, Longo si fosse autoassegnato il caso senza avvisare nessuno. La difesa del pm si basa sul fatto che quel giorno in Procura ci fosse soltanto lui. «Compare – gli dà ragione Calafiore, intercettato – in questa vicenda l’unico che la prende in culo è o lui (il procuratore capo Giordano, ndr) o Scavone (il procuratore aggiunto, ndr), lo devono scegliere loro liberamente, perché l’unica violazione documentale è l’ufficio sguarnito, non ci sono cazzi, il resto sono tutte cazzate». Che però oggi hanno aperto a entrambi le porte del carcere.
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