Il patto sporco, 500 al Biondo per la presentazione libro Trattativa Stato-mafia «era e resta una vicenda scomoda»

«La trattativa Stato-Mafia è una minchiata, non c’è niente di niente. Una spaventosa messinscena il cui obbiettivo è mostrificare il presidente della Repubblica, calunniare Berlusconi» scriveva il 29 agosto 2012 su “il Giornale” Giuliano Ferrara. Il 20 aprile scorso, dopo ben cinque giorni di camera di consiglio, la Corte di Assise di Palermo ha condannato: a 28 anni di reclusione
Leoluca Biagio Bagarella ; a 12 anni Antonino Cinà, Marcello Dell’Utri, Mario Mori e Antonio Subranni; a 8 anni Giuseppe De Donno e Massimo Ciancimino. L’ex ministro Nicola Mancino, al quale veniva contestato il reato di falsa testimonianza, è stato invece assolto. Nella sentenza, di ben 5.252 pagine, i giudici scrivono che «l’improvvisa accelerazione che ebbe l’esecuzione del dottore Borsellino» fu determinata «dai segnali di disponibilità al dialogo – ed in sostanza, di cedimento alla tracotanza mafiosa culminata nella strage di Capaci – pervenuti a Salvatore Riina, attraverso Vito Ciancimino, proprio nel periodo immediatamente precedente la strage di via D’Amelio».

«Mafia e Stato. Criminalità e apparati. Buoni e cattivi. È di questo che stiamo parlando. Di una partita complessa, nella quale tanti soggetti non sempre si affrontavano come avversari, schierati come erano dalla stessa parte».
Risponde così il Pm Nino Di Matteo, che insieme al pool composto da Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia si è trovato a sostenere la pubblica accusa, al giornalista Saverio Lodato. Dall’intervista nasce Il patto sporco un libro-testimonianza che ricostruisce, sulle orme del processo Bagarella Leoluca Biagio+11, la trattativa Stato-Mafia. «Un lavoro storico – afferma l’avvocato Armando Sorrentino – non un punto di approdo, ma di partenza».

Nel pomeriggio di martedì 18 dicembre, in cinquecento al Biondo per la presentazione del libro. «
Per Palermo questa è una serata di rottura – spiega Lodato – Noi stessi, che l’abbiamo promossa e organizzata, fino a qualche minuto prima ci chiedevamo “Ma verrà qualcuno questa sera?” Di solito si va agli eventi, ai dibattiti, alle presentazioni di libri per cercare di capirne di più; ma noi siamo qui per dimostrare che abbiamo capito tutto quello che c’era da capire!». Lo dice con rabbia mista a soddisfazione, il giornalista reggiano, che negli anni della furia corleonese è stato corrispondente da Palermo de l’Unità.

«Oggi parliamo
di una vicenda che fin dall’inizio delle indagini è stata, soprattutto nella sua rappresentazione mediatica, oggetto continuo di travisamenti, falsità, organizzato nascondimento dei fatti – spiega il Pm Nino Di Matteo – Era e resta una vicenda scomoda, scabrosa per il potere, di ieri e di oggi. Dopo la sentenza della Corte si è alzato compatto il muro di gomma del silenzio. Coloro i quali per anni avevano orchestrato il dileggio e la delegittimazione, preferiscono oggi tacere, non riescono nemmeno a trovare il coraggio e la dignità del confronto. Noi questo muro di gomma del silenzio lo vogliamo rompere, questo è il motivo per il quale ho accettatola la proposta di Saverio Lodato».

Scrivere cioè un libro. «Non per il piacere di raccontare l’impegno professionale – continua Di Matteo – che mi è costato, ci è costato, veramente tanto; lacrime e sangue.
Il libro è scritto per ricordare i fatti. Fatti che devono rimanere scolpiti nella memoria e nella coscienza civile di questo paese perché riguardano uomini e gruppi di potere che ancora oggi condizionano pesantemente la nostra democrazia. Non sono fatti che appartengono ad un passato remoto, ma ad un passato che continua a provocare i suoi effetti».

Insieme agli autori, Lodato e Di Matteo, presenti nel tavolo dei relatori: il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, il Presidente emerito A.N.P.I. Carlo Smuraglia, l’avvocato Armando Sorrentino e il giornalista Giorgio Bongiovanni, direttore di ANTIMAFIADuemila. 
Ad aprire la presentazione le immagini delle stragi: Capaci, Via D’Amelio, Via dei Georgofili, Via Palestro, il duplice attentato a Roma. La politica stragista di Riina, datata 92-93, in un video-montaggio silenzioso. Poi, il video inizia a parlare: sullo schermo la lettura del dispositivo di sentenza e, subito dopo, il generale Mario Mori che in un’intervista si cura di vivere a lungo per vedere morire i suoi nemici. Entrano in scena Claudio Gioè e Carmelo Galati, rispettivamente nei panni di Di Matteo e Lodato.

«È un processo storico – spiega Giorgio Bongiovanni – per la prima volta vengono portati alla sbarra,
non soltanto mafiosi, ma anche uomini dello Stato». Ma le menti raffinatissime, a cui faceva riferimento Giovanni Falcone a 19 giorni dal fallito attentato all’Addaura, che «tentano di orientare certe azioni della mafia» – per dirlo nelle parole del giudice – non sono state ancora del tutto individuate. «Non si è ancora sufficientemente scavato – afferma l’avvocato Sorrentino – tanti gli eventi che ancora restano avvolti nel mistero, tremendi segreti rimasti ancora inesplorati. Omicidi politici, in cui si è realizzata una singolare convergenza di interessi mafiosi e oscuri interessi attinenti alla gestione della cosa pubblica». 

«Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa Nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi» notificava Falcone nel 1989 davanti alle telecamere. A
d oggi, gli interrogativi rimangono pressoché gli stessi, con qualche briciola di verità giudiziaria in più, una verità parziale ma indispensabile. «Il processo trattativa è un atto di coraggio che dà coraggio – afferma il procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Lombardo – coraggio nella ricerca di risposte non scontate, a domande che in tanti non vogliono porsi. Non è diffuso parlare un certo tipo di linguaggio, avere il coraggio di fare un certo tipo di domande, come non è diffuso comprendere che il peggior nemico della conoscenza non è l’ignoranza ma l’illusione della conoscenza. Tutti siamo chiamati a fare un lavoro ulteriore».

La parola passa poi al presidente emerito dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, Carlo Smuraglia. «Il libro di cui parliamo stasera ha, secondo me, un’enorme importanza. La sentenza
è lunga oltre 5 mila pagine e che qualcuno ce la spieghi, ci dica in dettaglio il contenuto, è una cosa importantissima. Il libro è facile a differenza delle carte giudiziarie. In tanti avrebbero bisogno di leggerlo per imparare, spero abbia la maggior diffusione possibile». Poi, parla dell’invidia tra magistrati e di quando si votò per eleggere Falcone come capo dell’Ufficio Istruzione. «Spesso mi sono accorto si parlasse di Falcone con un senso di fastidio».

Infine, apprezzando il lavoro realizzato da Di Matteo e Lodato, Smuraglia lancia un monito alla platea del Teatro Biondo, che si è distribuita anche nelle gallerie: «Che il loro esempio sia seguito!
Che ce ne siano mille di magistrati e giornalisti così! C’è bisogno di gente che vada a fondo, correndo rischi». 

Maria Vera Genchi

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