Rammarico. È questa la parola intorno alla quale ruota l’analisi dei risultati del Palermo nelle ultime giornate. Un termine da scrivere in maiuscolo e in grassetto in relazione anche alla sconfitta del Lecce a Padova. Se avessero vinto al Barbera con lo Spezia i rosanero sarebbero tornati padroni del proprio destino con la possibilità di andare direttamente in A vincendo le prossime due gare. E invece la formazione di Delio Rossi, che avrebbe dovuto battere i liguri, da questo punto di vista non ha fatto il proprio dovere consolidando un feeling preoccupante con il festival delle occasioni sprecate. Il 2-2 casalingo contro la compagine guidata dal marsalese Marino, maturato nel primo tempo di una partita rocambolesca condizionata probabilmente anche dall’anomalia di un orario (fischio di inizio alle 12,30) che richiede un certo tipo di adattamento, fotografa in un certo senso la stagione del Palermo. Una squadra che, essendo ancora prigioniera dei propri limiti, fatica a svincolarsi da un copione ormai collaudato all’insegna del ‘vorrei ma non posso’. O meglio ancora del ‘vorrei ma non ci riesco’ nel senso che, a prescindere dalla guida tecnica, questo è un gruppo che si impegna, dà tutto ciò che può ma che arriva fino ad un certo punto oltre al quale non può più andare. Un punto che non viene mai superato a causa di difetti ormai radicati e che anche in questa stagione rischiano di lasciare il segno.
Si tratta di limiti tecnici (basta citare l’esempio di Aleesami, esterno sinistro che non dà quasi mai impulsi significativi alle sue prestazioni e responsabile oggi nel primo tempo in occasione di entrambi i gol di Maggiore – il primo realizzato con un piatto sinistro indirizzato verso il secondo palo al culmine di un’azione manovrata, il secondo con un colpo di testa sul quale si è fatto trovare impreparato anche Brignoli), ma soprattutto caratteriali e di personalità. Testimoniati dal fatto che per la terza gara di fila la squadra non ha saputo conquistare l’intera posta in palio dopo essersi trovata, all’inizio o a partita in corso, in vantaggio di una rete. L’esperienza di Delio Rossi, che finora si è limitato a non stravolgere anche tatticamente il lavoro della precedente gestione, rappresenta un potenziale valore aggiunto ma allo stato attuale non può fare la differenza nell’ambito di un collettivo vulnerabile e alle prese con diverse problematiche. Psicologicamente fragile (dato di fatto che va al di là delle vicende societarie a proposito delle quali va segnalato il rinvio a fine mese dell’udienza relativa al procedimento della Procura federale per il commissariamento del club) e anche involuto come dimostra lo smarrimento di molte certezze (soprattutto in fase difensiva) acquisite in precedenza e come ha ribadito lo sviluppo della gara odierna nella quale i padroni di casa, dopo un buon primo tempo al netto delle ingenuità punite dai bianconeri, dal 60’ in poi si sono disuniti andando alla ricerca del gol con frenesia e poca lucidità.
Fino a quando la matematica lascia qualche spiraglio è giusto credere al miracolo della promozione diretta ma per alimentare il sogno serve, comunque, un Palermo diverso rispetto alla compagine contratta vista oggi nella ripresa. Servirebbe un Palermo ad immagine e somiglianza di Moreo. Attaccante che, a prescindere dal gol (il quinto stagionale) siglato otto minuti dopo il momentaneo 1-1 firmato con un destro da fuori area da uno Jajalo meno brillante rispetto al suo standard e il palo colpito nella prima porzione del match con un colpo di testa in torsione su un cross di Rispoli, ha dato l’anima e rincorso ogni pallone con grande generosità e disponibilità al sacrificio. Atteggiamento apprezzato giustamente dai tifosi. Gli stessi che al termine della gara hanno fischiato invece la squadra in generale complice, ovviamente, un senso di frustrazione alimentato dalla ripetitività di certe situazioni e dal mancato raggiungimento di una vittoria che, al di là dei meriti dell’avversario, era alla portata.
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