«Resto un uomo di sinistra, ma è il momento di andare oltre le etichette dei partiti. Non è più tempo per dire “io sono”, c’è bisogno di persone che dicano “io faccio”». Se la voce non fosse riconoscibile, si potrebbe pensare che dall’altra parte della cornetta ci sia Luigi Di Maio o uno tra i grillini più ortodossi. A parlare è invece Claudio Fava. Eletto a novembre deputato regionale, il politico catanese in questa intervista a MeridioNews fa il punto della situazione dopo i primi cinque mesi di attività parlamentare condotta come unico rappresentante dei Cento passi per la Sicilia, il progetto che lo ha portato a tornare a fare politica nell’Isola e ambisce a creare un germe per quella discontinuità da più parti invocata, ma mai realizzata.
Onorevole, sei mesi per giudicare un governo sono pochi. Ma forse abbastanza per capire se ci sono elementi di cambiamento. È così?
«Bisogna intendere cosa si vuole valutare. Musumeci, come figura, non ha nulla a che vedere con Crocetta. Tanto Crocetta era pirotecnico, supponente ed eccessivo, quanto Musumeci è silente. Detto questo, finora ciò che colpisce di questo governo è che non governa».
Come mai?
«Non so se sia per insipienza o per impossibilità legate alla fragilità alla maggioranza, ma per ora abbiamo assistito a straordinarie disamine su ciò che di devastante accade in Sicilia, senza però che sia stato fatto nulla. Musumeci ha mostrato tanta lucidità nell’analisi, quanto inerzia nel fare. Forse dipende dal pedaggio politico che è stato costretto a pagare. In tal senso, la vicenda Sgarbi è significativa. Un comparto strategico come quello dei beni culturali affidato a una persona che tutto poteva fare fuorché l’assessore».
Eppure, il presidente lo ha voluto nella propria giunta, pur consapevole che sarebbe potuto essere un incarico a scadenza.
«Onestamente credo che a Musumeci non importasse granché di Sgarbi. Era una decima da pagare a Forza Italia e Berlusconi ed è stata pagata».
Adesso a tenere banco è la finanziaria. Che idea si è fatto del testo che dovrete votare entro la fine del mese?
«Diciamo che è diventata una nota delle spese o poco più. Tutti gli interventi di natura politica sono stati stralciati, perché questa maggioranza non si sente capace di affrontare alcuna delle scelte che possono diventare dirimenti. Così ci si trova con un testo legato alla spesa corrente, privo di qualsiasi slancio politico».
Sarà dura reggere così per cinque anni.
«Non escludo che Musumeci si dimetta se dovesse continuare a sentirsi prigioniero. Ma da questo equivoco bisogna uscire: o si dimette o decide di governare. Scelga di fare ciò che ritiene opportuno, lo presenti in Aula, senza il filtro preventivo della sua maggioranza. Siamo in attesa di piano per l’acqua, rifiuti, paesaggio. Oggi il parlamento siciliano è solo un notaio di paese chiamato a ratificare poche cose, con il governo che amministra la quotidianità, non potendo spingersi oltre».
Questi freni ricordano un po’ quanto accaduto in campagna elettorale per la vicenda impresentabili. Con Musumeci a ribadire di non volere quei voti, ma alla fine costretto ad accettarli.
«Le dico una cosa: in campagna elettorale posso perfino capire quell’atteggiamento se significava “fatemi vincere che poi governo come dico io”. Ma se doveva rivelarsi un “fatemi vincere e poi continuerò a non decidere io”, allora tutto cambia. L’etica e la morale se non vengono associate ad azioni concrete vanno bene per le omelia in chiesa, non per un’azione di governo».
La vita tra i banchi dell’opposizione come va?
«Non arrivando pressoché nulla di politico in Aula, gli spazi di discussione sono perlopiù assenti. L’opposizione e la vera politica oggi la trovi fuori. Tra le associazioni e i comitati. Per il resto con il M5s ci siamo incontrati su questioni concrete, vicende che emergono dalla realtà e dall’esigenza di trovare soluzioni ai problemi, senza bisogno di organizzare contatti formali. Per quanto riguarda invece il Pd, ritengo che al momento viva una fase di stallo. In attesa di capire come si evolveranno le cose sul piano nazionale. Fuori dall’Ars, sul territorio, la sua presenza non si avverte».
A proposito di rifiuti, che idea si è fatto del piano stralcio presentato dal governo?
«Si tratta di una soluzione d’emergenza e rimane il bisogno di dare una soluzione più strutturata a un sistema malato. Finché si accetta che nelle aree metropolitane ci siano percentuali di differenziata ridicole, è difficile che cambi qualcosa. Il governo dovrebbe essere più deciso, nominando commissari ad acta lì dove un’amministrazione comunale dimostra di non essere all’altezza».
Poi c’è il nodo discariche.
«Dovrebbero avere compiti marginali e invece la maggior parte dei rifiuti vanno ancora oggi lì. L’amministrazione pubblica in questi anni ha mostrato un’inerzia che alla lunga si è incrociata con gli appetiti di alcune famiglie mafiose. Come Cento passi presenteremo un libro bianco con tutto ciò che avvenuto in questi anni intorno ad alcune discariche private in Sicilia, in termini di commistione di interessi privati e mafiosi».
A giugno Cento passi potrebbe debuttare alle Amministrative.
«Si tratta di una possibilità importante, ma non vincolante per il nostro futuro. Già la scorsa settimana abbiamo chiarito, durante l’assemblea regionale, di essere un movimento che non appartiene ai partiti e le strade che prenderemo non saranno frutto di un patto tra gruppi dirigenti partitici. Il movimento appartiene a chi vorrà partecipare, e il suo collocamento politico dipenderà dalle cose concrete di cui si occuperà. Bisogna essere presenti nei luoghi della vita, dove ci sono i problemi».
A Catania siete in trattativa con Emiliano Abramo. Farà un passo indietro?
«Sono valutazioni che spettano a lui. Ho massimo rispetto per la generosità che Abramo in questi mesi ha messo per proporre la propria candidatura. Da parte nostra pensiamo che il profilo di Niccolò Notarbartolo sia più coerente con i Cento passi, perché ha un percorso di coerenza oltre ad avere già dimostrato nei fatti, con l’impegno in consiglio, di essere nella condizione di costruire una discontinuità».
Quanto pesa su Abramo l’avere dato l’impressione di civismo di facciata? Crocetta è stato tra i primi ad appoggiarlo pubblicamente.
«Non voglio inseguire le notizie origliate, i fatti per me dicono che Abramo ha cercato di estendere il proprio campo avvicinando parti diverse della società. Crocetta? Consentitemi di considerarlo un privato cittadino. Oggi rappresenta se stesso, non è a capo di un movimento politico. Avrà qualche amico a cui può dare suggerimenti sul voto».
La corsa al civismo riguarda anche i Cento passi? Non eravate una formazione di sinistra?
«Il movimento Cento passi non parla alla sinistra, vuole parlare a tutti i siciliani che si riconoscono nelle nostre battaglie. Vogliamo avvicinare donne e uomini che intendono dare il proprio contributo a risolvere i problemi, spendendosi in prima persona. C’è bisogno di presentarsi scalzi e nudi al confronto con la politica.
Non è che Fava è diventato grillino? Non mi dirà che destra e sinistra non esistono più.
«Io mi sento un uomo di sinistra e la mia storia è di certo differente da quella di Di Maio. Ma il mio compito oggi non è quello di organizzare il partito della sinistra, ciò che oggi voglio fare è contribuire a creare un movimento che torni a legittimare la funzione politica che la sinistra in passato ha avuto. In altre parole non basta più definirsi per essere qualcosa, almeno di non volere prendere pernacchie. C’è bisogno di coinvolgere persone che hanno voglia, tempo ed energia per spendersi nelle battaglie che bisognerà condurre.
Come la prenderanno i rappresentanti della galassia di piccoli partiti che fanno riferimento alla sinistra?
«Restare ancorati ai partitini come se fossero giocattoli personali non ha senso, ma mi rendo conto che in qualcuno queste parole possono suscitare fastidi. La strada per creare un cambiamento però non può che essere quella di ritornare alla base e la base la si raggiunge avvicinandosi alle istanze che provengono dai territori. Apriremo sedi dei Cento passi, che non si occuperanno soltanto di politica, ma punteranno a essere luoghi di aggregazione e riferimento».
Solitamente l’onere del cambiamento lo si dà alle nuove generazioni. Dalla Sicilia però i ragazzi continuano a fuggire.
«I giovani voltano le spalle alla politica o cercano in essa soluzioni semplificate perché la politica ha smesso da tempo di dare loro risposte concrete. Creare il terreno per la rinascita di un sentimento collettivo, un tempo c’erano speranze condivise. Oggi ognuno spera per sé. Ma per fare tutto ciò bisogna innanzitutto dare ai ragazzi un motivo per rimanere in Sicilia, qualcosa che vada oltre gli appelli ai sentimenti».
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