Il mistero del guayule, Eni avvia la coltivazione Individuati due terreni Esa, ma Gela resta fuori

Sembra un oggetto misterioso, del quale molto si favoleggia perché poco si sa. È il guayule, una coltura arbostiva di cui a Gela si è cominciato a parlare all’indomani del protocollo d’intesa del 6 novembre 2014. Uno dei punti dell’accordo afferma che «Eni, attraverso la sua controllata Versalis, ha avviato negli ultimi anni lo sviluppo di piattaforme green per la produzione di prodotti chimici bio». In pratica la famosa chimica verde sulla quale il premier Matteo Renzi aveva puntato nella sua visita di agosto del 2014. Solo lo scorso 4 febbraio, però, è stata siglata la lettera di intenti tra Eni e l’Ente di Sviluppo Agricolo (Esa) della Regione Siciliana per l’avvio di uno studio di fattibilità agronomico del guayule, dal quale ricavare il lattice per la produzione di una gomma ipoallergenica, da applicare soprattutto per la creazione dei guanti dei chirurghi. 

Una coltivazione sperimentale che dovrebbe partire ad aprile. Dove? In che termini? «Il protocollo d’intesa è stato approvato di recente – spiega il direttore generale dell’Esa, Maurizio Cimino – e prevede la collaborazione dell’ente per la realizzazione di due impianti campione a carattere sperimentale in provincia di Agrigento, in località Sparacia-Cammarata, e a Barcellona Pozzo di Gotto». Quel che è certo è che, come afferma la responsabile del servizio economico-finanziario Marisa Barraco, «non c’è nessun impegno economico da parte nostra». «Per quel che so – continua la dirigente – quello è un accordo di massima, un progetto da definire. Le competenze dell’Esa sono sempre più ridotte, così come i pagamenti. Si figuri se ci sono soldi da investire quando i dipendenti non recepiscono gli stipendi da alcuni mesi». 

Inoltre Eni, è risaputo, sta per vendere proprio il settore della chimica. Anche se in una nota del 19 febbraio «la società conferma che intende mantenere una partecipazione significativa in Versalis», salvaguardando «il piano di investimenti, il mantenimento del perimetro industriale per almeno cinque anni, e quello dei livelli occupazionali per almeno tre anni». Le rassicurazioni del cane a sei zampe sembrano però non bastare agli agricoltori locali. Interessati non solo alle potenziali ricadute occupazionali della nuova coltivazione, che Eni stima in cento unità, ma soprattutto ai riflessi positivi che potrebbe avere sullo sviluppo di una filiera agricola fortemente in difficoltà

Per il sindaco di Gela, Domenico Messinese, «il guayule si coltiva meglio in terreni marginali». Al consiglio comunale di venerdì scorso ha poi rassicurato che «gli impianti di trasformazione saranno a Gela». Chi non è d’accordo sulla scelta dei siti, lontani dal territorio gelese, è Piero Lo Nigro, presidente dell’ordine degli agronomi della provincia di Caltanissetta. «Ho richiesto una revisione a Crocetta in persona – afferma – in modo che i terreni della sperimentazione siano gelesi. È chiaro che serve una buona resa, e lo dico pure da imprenditore agricolo. Ma in questo momento sul guayule non c’è un benchè minimo rapporto economico». 

Su una possibile destinazione gelese del guayule getta però acqua sul fuoco lo stesso Cimino. «Per quanto attiene all’ipotesi di altre localizzazioni – dice il direttore dell’Esa –, potranno essere oggetto di valutazione da parte dell’organo di amministrazione dell’ente previa verifica di idoneità dei siti da parte dei tecnici incaricati dalla società». Nulla di definito, insomma. Fino a questo momento non si conoscono neppure i risultati della coltivazione che la stessa Eni, insieme alla Pirelli e in accordo con l’università di Bari, ha avviato in Basilicata agli inizi del 2013. In risposta a un’interrogazione parlamentare del deputato Cosimo Latronico, nel luglio 2015 l’allora sottosegretaria Daniela Vicari parlava di progetti di ricerca, di un «impianto pilota» e di «una coltura di 200 ettari del guayule in prossimità dell’impianto stesso». Nessuna notizia sulla fattibilità della coltivazione, a tre anni dall’avvio del progetto. 

Anche sul sito di Versalis si trova solo un accattivante ma generico video sulla coltivazione del guayule nel Sud Europa. È l’aspetto che più preoccupa Francesco Vacirca, vicepresidente del collegio dei periti agrari della provincia di Caltanissetta. «Dovrebbero essere già stati prodotti dei risultati – spiega – ma io non ne ho trovati. In ogni caso a Gela ci sarebbe il luogo adatto: Campo Olivo, un terreno di sette ettari di proprietà della Regione e affidato da anni al Comune». Proprio di fronte il centro direzionale Eni e a pochi chilometri dagli impianti ormai fermi di quella che un tempo era la Raffineria.

Andrea Turco

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