Il mistero dei descrittori di Dublino

Cinque candidati rappresentanti al Senato Accademico e due docenti universitari seduti a un tavolo; ai microfoni di Radio Ateneo, diretti da Michele Spalletta per un’ora e mezza si è parlato di politica, riforme universitarie, diritto allo studio: è il frutto di un esperimento nato dalla collaborazione di Step1 e Radio Zammù.

I candidati Massimo Cavaleri (Intesa autonomista), Giuseppe Cannizzo (Liberi e forti), Armando Greco (Alleanza universitaria, Azione giovani, Controcampus, Arcadia, Trinacria), Andrea Fichera (Studenti per la libertà) e Gaetano Bonanno (Lotta universitaria) hanno risposto alle domande di Giuseppe Vecchio (preside della facoltà di Scienze Politiche) e Luciano Granozzi (docente di Storia contemporanea a Lingue e Letterature Straniere).

 
La partenza si rivela in salita per i candidati: «I senatori hanno un peso sproporzionato rispetto alle conoscenze che hanno in fatto di gestione universitaria» afferma Giuseppe Vecchio, riferendosi a quanto sia enorme il potere dei rappresentanti in molte occasioni (come l’elezione dei presidi di facoltà). A questo potere, molte volte, non corrisponde un’adeguata conoscenza dei meccanismi che regolano il Senato universitario.

Massimo Cavaleri ammette di non avere nessuna esperienza e propone una pre-formazione specifica per i futuri senatori eletti, mentre Giuseppe Cannizzo, Armando Greco e Andrea Fichera (tutti e tre provenienti da esperienze nei Consigli di facoltà) sono più sicuri del fatto loro e ribadiscono all’unisono quanto sia importante la rappresentanza studentesca specialmente nelle questioni relative alla didattica. Greco, per esempio, cita la sua partecipazione alla Consulta universitaria: un modo per farsi le ossa, confrontandosi con gli altri consiglieri di facoltà, ma anche col Rettore e i docenti. Del resto, sottolinea Fichera, i rappresentanti al Senato accademico sono indispensabili perché «Gli studenti hanno una percezione di problemi che i docenti non hanno».

I candidati hanno avuto anche i loro sudori freddi. Una leggera sensazione di panico si diffonde quando – prima di una pausa richiesta dalla regia di Radio Zammù – il preside Vecchio chiede ai ragazzi al tavolo quale sia il compito dei “descrittori di Dublino”. Non appena la diretta si interrompe, la caccia ai pc delle redazioni di giornale e radio è fulminea. Ma il preside Vecchio è uomo d’esperienza e si accorge subito del bluff.

La domanda (per la cui soluzione rimandiamo al documento pubblicato sul sito della facoltà di Scienze politiche) mostra come la conoscenza di tecnicismi sia tanto fondamentale quanto poco tenuta in conto da chi si candida a un ruolo così importante all’interno dell’Ateneo. Anche se i possibili senatori non credono che una conoscenza a priori delle norme che regolano un ateneo siano delle competenze necessarie prima dell’elezione effettiva.

Non basta. Al di là dei tecnicismi, il professor Granozzi nota una mancanza di spazi di dibattito e di partecipazione che rendano davvero autonomi i rappresentanti degli studenti e che potenzino il loro ruolo dentro l’Ateneo per far sentire la voce dei discenti su temi importanti come il numero chiuso per l’accesso ai corsi di laurea, la qualità delle lauree del nuovo ordinamento o il problema delle sedi decentrate, molte delle quali in difficoltà per via dei debiti non saldati dai Consorzi.

 
Quando la parola passa ai candidati, tutti all’unisono (con qualche leggero distinguo) bocciano il modello 3+2, e il numero programmato: una rivendicazione trasversale al diritto allo studio alla quale Vecchio ribatte citando la Costituzione: solo ai capaci e meritevoli è garantito di formarsi al di là delle risorse finanziarie a disposizione… Il più pronto a controbattere è Greco: “Siamo sicuri che un test selezioni davvero i più capaci? E poi: se si impone un tetto fisso, si rischiano di lasciare fuori due, tre, cento persone altrettanto meritevoli”.

Presto la discussione si sposta sul rapporto tra le elezioni universitarie e la politica tout court. E i toni si surriscaldano.

 
Se gli altri candidati affermano sicuri che all’università contano soprattutto gli interessi degli studenti – che sono “senza colore” – e che la campagna elettorale viene fatta conoscendo le persone a una a una (Cannizzo), organizzando momenti di aggregazione e dibattito (senza disdegnare feste in discoteca e happening), Andrea Fichera non si nasconde dietro un dito: «Io mi attendo di essere votato per ciò che abbiamo fatto con l’associazione di cui faccio parte» ma non si può tacere del ruolo che le segreterie politiche ricoprono nelle elezioni universitarie come in quelle reali”. Come? Per esempio con la richiesta “telefonica” del voto. Gaetano Bonanno si spinge oltre e accusa: “Durante la presentazione delle liste ho visto e sentito di accordi dettati dall’alto per apparentamenti tra diverse formazioni”. Il giovane che fa riferimento al movimento di Forza Nuova se la prende la partitocrazia dilagante. Proprio su questo malessere punta la sua lista (presente per la prima volta in Italia) che fa affidamento sul cosiddetto voto di protesta e su quanti si sono astenuti (il 69% circa) alle scorse elezioni.

Il professore Vecchio smorza i toni. Non c’è da scandalizzarsi se gli onorevoli scelgono i giovani virgulti per testare il loro appeal tra gli elettori. Anche la politica maggiore ormai è in mano non ai vecchi partiti (che selezionavano sì la futura classe dirigente, però la formavano pure) ma alle “segreterie”. Proprio per questo, il preside invita i giovani a volare più in alto. Vecchio propone ai cinque aspiranti Senatori di stilare un codice, una cosiddetta “carta del candidato” che contenga regole e nozioni minime sul funzionamento e sulle regole dell’Università che gli eleggibili certificano di possedere. Perché, come diceva Che Guevara, «El niño que no estudia no es buen revolucionario (il ragazzo che non studia non è un buon rivoluzionario)». E forse nemmeno un buon rappresentante.

oliviacala

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