Il live report de IlCibicida.com

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CONFERENZA STAMPA: 06/03/06 – La nostra attesa era iniziata da molto tempo, da quando più o meno lo scorso Novembre abbiamo appreso, tra felicità e stupore, la calendarizzazione di una data catanese all’interno del Winter Tour 2006, che ha visto in Italia come prima tappa Torino, in occasione delle celebrazioni di chiusura delle Olimpiadi invernali.

Non è stata certamente poca quindi, l’emozione provata nel vederlo entrare all’interno della sala stampa dell’ Hotel Excelsior. Il primo impatto conferma piacevolmente tutti i pregiudizi: ostentato ritardo, abbigliamento tanto semplice quanto scontato (jeans e maglietta), atteggiamento distaccato e disinteressato. E’ proprio lui! Prima di sedersi, concede un solo minuto di foto, non prima di aver indossato i suo occhiali da sole a specchio. Non si tratta di un vezzo da “divo”, ma si deve al fatto che a causa di un disturbo alla retina cerca di evitare quanto più possibile di esporsi ai flash. Tolti gli occhiali, guai a chi continua a fotografare! e si inizia con i convenevoli saluti degli assessori provinciali, cui Reed mostra non poca insofferenza facendo cenno con la mano di sbrigarsi.

Non appena iniziano le domande della stampa, non perde tempo per confermare la sua nomea di “trita-giornalisti”, ma tuttavia è di buon umore, e risponde con tagliente ironia: a chi gli domanda come mai, 11 delle 14 date previste si svolgono proprio in Italia, risponde che è un riconoscimento al popolo italiano per la sua competenza musicale. Quando poi, qualcuno chiede circa un gossip che lo vedrebbe interessato a comprare casa in Italia, taglia corto: “Chi non vorrebbe vivere in Italia?” e se si insiste in che regione, replica: “In Sicily sure, I love Sicily”. E ancora: “Conosce una rockband italiana?” E lui: “esistono rockband italiane?? Conosco solo la dance music italiana”. Per quanto riguarda i suoi poliedrici progetti artistici, ci informa che la mostra tratta dal suo libro di foto su New York, dopo la Grande Mela, è sbarcata in Italia, e a partire da Torino, toccherà anche Roma e Napoli. Inoltre, insieme al suo maestro di Tai-chi, Ren Guang-Yi, sta lavorando alla realizzazione di un dvd di musica di meditazione. Alla nostra domanda circa l’idea di mettere in scena una rappresentazione teatrale ispirata all’album “Berlin”, che dovrebbe vedere Billy Corgan nel ruolo del protagonista risponde: “Per il momento sono solo progetti, niente di già deciso, il resto sono solo chiacchiere”.

Altri cercano di indagare se la stridente opposizione tra la sua sregolata gioventù degli eccessi e una più pacata maturità, nasconda la ricerca di una via verso la purificazione del corpo e della mente, ma anche qui Lou, è ermetico: “Sono semplicemente interessato alle arti orientali e al buddismo”. Tocca di nuovo a noi, e gli chiediamo se, dopo aver additato nel 1989 con l’album New York la politica reaganiana di tagli ai fondi dei servizi sociali per i minori, ha qualcosa da dire oggi al Presidente Bush. Ad un tratto si fa serio in viso e si sofferma un attimo, dopo riprende: “Sono la persona sbagliata per parlare di Bush, quello che sta succedendo è terribile e pericoloso”. Poi rilancia: “La vera domanda è: come uscire fuori dall’Iraq?”. In chiusura, non rinuncia al piacere di far fuori qualche altro giornalista, e alla domanda “qual è il suo rapporto con la radio, la televisione e il sonno?” guarda perplesso e sbuffa: “questa sarebbe una domanda?”.

E infine l’ultimo: “Cosa ne pensa del fatto che la sua Perfect Day è utilizzata come spot pubblicitario per un’azienda di prodotti surgelati?”, Lou lo (sur)gela: “Se avessi ascoltato bene ti saresti accorto che quella non è la mia voce, viviamo in un mondo libero, non posso mettermi a contestare ognuno che mi fa una cover”. Si conclude così, dopo essersi mostrato vistosamente distratto se non infastidito dalle domande più superficiali, il nostro breve incontro. In chiusura però, c’è il tempo per un ultima gioia, riusciamo ad avvicinarlo per qualche istante, ottenendo l’autografo su un paio di copertine dei suoi cd. E nel consegnargli il consueto bigliettino da visita de Il Cibicida spiegandogli di cosa si tratta, Lou ci ringrazia con un cenno di approvazione e una stretta di mano.

LIVE REPORTS: C’era grande attesa per questo storico incontro della città di Catania con uno dei monumenti sacri della storia del rock, e forse ce ne è stata anche troppa. Strade tappezzate di manifesti e tutto esaurito da settimane, ecco come si apprestava ad accogliere questo evento la nostra città. Mr. Reed si prende un accademico quarto d’ora di ritardo e alle 21:30 sale sul palco accompagnato dalla sua formazione: ai fedelissimi Fernando Saunders al basso e Mike Rathke alla chitarra, si aggiungono per questo Winter Tour 2006, vecchie conoscenze quali Rob Wasserman al contrabbasso e Tony “Thunder” Smith alla batteria. Band parzialmente modificata rispetto al nostro ultimo incontro a Fano nell’estate del 2003, che lascia facilmente intuire una diversa impostazione: al tanto atteso ritorno della batteria segue l’abbandono dello sperimentalismo del violoncello di Jane Scarpantoni e dell’eterea voce di Antony.

E’ certamente vero, Reed non ama ripetersi, e se nel 2003 la scaletta del New York City Man Tour era plasmata sulle esigenze promozionali dell’omonima raccolta, in questa tournee, in cui non si pubblicizza l’uscita di nessun album, la scaletta sembra voler obbedire al personale gusto del rocker americano, ripescando svariati pezzi tra i suoi album meno celebrati. Scelta inopinabile, ma che non può non suscitare una certa delusione tra il pubblico ansioso di rivivere le grandi emozioni degli anni sessanta e settanta. E invece sono gli anni ottanta e novanta a farla da padrone: apertura con “Paranoia Key of E”, brano estrapolato da “Ecstasy” del 2000, subito dopo è il momento della suggestiva “Sword of Damocles” tratta da “Magic and Loss” (1992), uno dei testi più intensi di tutta la produzione reediana. Poi prosegue con “The Day John Kennedy Died”: Lou sembra voler privilegiare i brani dai testi più introspettivi ed accorati, ed è forse in questa chiave di lettura che va interpretata l’intera performance, tant’è che a seguire è la volta di “Gassed and Stoked”, anch’esso tratto da “Magic and Loss”, album interamente dedicato al tema della “perdita”.

Lou sembra di buon umore, consapevole che la scena è tutta sua, si diletta a dirigere la sua band, mimando il ritmo della batteria, guidando il tempo del contrabbasso e infine dando la chiusura del pezzo da vero direttore d’orchestra. Nel corso di “Rock Minute” improvvisa dei duetti tra la sua chitarra e la batteria di Smith, e poi di nuovo col contrabbasso. E’ con gioia che poco dopo leggiamo nel suo labiale “Street Hassle”, brano evidentemente non previsto inizialmente, se lo stesso cantante si preoccupa di comunicarlo al tecnico del suono e ai suoi musicisti. Nel corso del lungo intro c’è l’occasione per una rapida esibizione di Master Ren Guang-Yi suo insostituibile maestro di Tai-Chi. Dopo “Who Am I”, resta il tempo per un solo bis: ed è con “Sweet Jane” che si congeda dal pubblico catanese. Quando si accendono le luci del Palacatania sono trascorsi circa un ora e tre quarti, in linea con le altre date del tour, ma pur sempre poche per noi appassionati. Il concerto ha visto la stragrande dei pezzi rivisitati e vitaminizzati da lunghi assolo di chitarre elettriche e dei contrabbassi con qualche evoluzione in chiave jazz, e se si fa eccezione per i brani centrali “Tell it to you Hurt”, “Why Do You Talk” e “My House” ci è sembrata una prestazione abbastanza energica. Energia non premiata dalla non certo impeccabile acustica del Palacatania, struttura certamente non progettata per questo utilizzo e soprattutto di ripiego rispetto all’originaria sede, il Teatro Metropolitan, per puri motivi di capienza.

Alla luce di quelle che sono state le valutazioni di gran parte dalle testate locali, ci sembra doveroso chiarire che, chi rimprovera al newyorkese una scarsa interazione col pubblico, dimostra semplicemente di aver poca dimestichezza della storia dell’artista e il suo carattere notoriamente ruvido, schivo e antidivistico. Una approfondita conoscenza della sua musica e del “personaggio” Lou Reed, avrebbe certamente arginato quel fiume di sentenze di “morte artistica”, in gran parte dovuta a una scelta reputata “infelice” della scaletta, cui è stato sottoposto dalla stampa locale. Ci pare di poter affermare in tutta onestà che la spada di Damocle non pende ancora sulla sua testa: fin dai tempi dei Velvet Underground ha fatto musica per sé stesso, e non per il pubblico. Per fortuna!!

Riccardo Bresmes

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