La parola creatività non è mai stata tanto utilizzata nel secolo scorso come ora: rotonda ed espressiva, a tratti banalizzata, la creazione che prima investiva soltanto gli artisti e le partorienti, oggi riguarda tutti. Si crea tutto. Crea chiunque. Dai programmatori agli stilisti, dai designer ai pubblicitari, dagli sportivi ai giornalisti, la creatività è diventata come il proverbiale prezzemolo e anche nelle presentazioni aziendali non manca mai un po’ di creatività, tra un grafico a torta e qualche dato sulle vendite.
In definitiva, quest’anno pensavo di dover cancellare un’altra parola dal mio vocabolario personale (dopo resilienza) ma mi è fortunatamente venuto in soccorso il grande Stefano Bartezzaghi.
In Mettere al mondo il mondo (Bompiani, 2021, 302 pp.), Bartezzaghi ripercorre pedissequamente la nascita e lo sviluppo, significanti e significati, di una parola ormai forse banalizzata ma enormemente importante per un mondo che, diciamocelo, ha proprio bisogno di creare qualcosa di bello. Ma lo fa scardinando il nuovo status symbol sociale, ossia quello del creativo che, a prescindere dal ruolo imposto, si annida in ciascuno di noi.
Cos’è davvero la creatività? Basta fare qualcosa per dirsi creativi? E tu, cosa fai per farti appuntare sulla giacca questa etichetta? Queste sono le domande che idealmente rivolge ai lettori e alle lettrici, navigando abilmente nell’oceano della semiotica, ma al contempo attualizzando i contorni di un bisogno sempre più profondo, specie in un momento storico in cui «tutti sono creativi e nessuno è creativo» proprio perché ormai siamo capaci di creare tutto e il contrario di tutto.
A metà tra l’analisi semiotica e il viaggio spirituale, l’ultimo lavoro di Bartezzaghi è un toccasana da leggere con pazienza e attenzione, ma restituisce tutta la profondità di un insegnante che spiega, con chiarezza ed esaustività, l’importanza di una delle parole più abusate di questo secolo.
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