In Sicilia, ormai, si licenziano pure i giornalisti. Naturalmente quelli scomodi.
E il caso di Angelo Di Natale, del Tgr Sicilia. Su Globalist.it leggiamo unintervista allo stesso Di Natale che merita di essere riportata. Uno spaccato non tanto della Rai, ma della Sicilia.
Di Natale definisce il suo licenziamento un provvedimento insensato, totalmente estraneo alla realtà delle cose, costruito strumentalmente a tavolino come arma finale per rimuovere una voce critica contro una gestione della redazione di Tgr Sicilia di tipo privato. Dietro non c’è altro. Ci sono le mie tante denunce, in decine di lettere, documenti, esposti. Appena ebbi contezza del fenomeno mostruoso della pubblicità occulta, con centinaia di servizi-marchetta (solitamente affidati ai precari o a giornalisti fedeli al capo e da questi generosamente ricompensati) ho posto il problema in redazione, nelle assemblee.
Di Natale contesta la gestione del caporedattore della Rai regionale della Sicilia, Vincenzo Morgante. Per i non addetti ai lavori, il capo redattore della redazione della Rai siciliana è il capo: in pratica, il direttore. Morgante è uno dei direttori più longevi, visto che è in carica dal 2002.
Quando Di Natale inizia a denunciare le cose che non lo convincono nella gestione della Rai regionale della Sicilia, Morgante reagisce semplicemente negando l’evidenza. Nell’unico confronto con la redazione l’1 marzo 2011, dinanzi alla mia affermazione che ad un’azienda di panettoni Tgr Sicilia aveva dedicato una trentina di servizi, egli giurò che al massimo non era più di qualche servizio. Perfino l’Audit-farsa imbastito per assolverlo accertò che erano 27. Per non dire degli oltre 70 servizi dedicati ad un’azienda vinicola, sempre la stessa! In questa mia azione di tutela del prodotto giornalistico, della dignità umana e professionale della redazione e del prestigio del servizio pubblico dell’informazione, ho avuto la più dura controparte nel Cdr, o almeno in una parte, da tempo maggioranza, dei suoi componenti.
Il Cdr, per i non addetto ai lavori è il Comitato di redazione chiamato a difendere i giornalisti.
Ho trovato, in questi anni – racconta sempre Di Natale a Globalist – un sindacato ridotto ad arnese del caporedattore e ho denunciato che i componenti che al suo interno hanno tenuto questa linea in effetti erano candidati ed elettoralmente sostenuti dal caporedattore. Alle mie denunce Morgante, oltre che negando in modo puerile i fatti da me documentati (basta consultare il catalogo multimediale), ha reagito con il suo metodo abituale: emarginare, vessare, discriminare, colpire, professionalmente ed economicamente, i colleghi dalla schiena dritta e premiare gli altri, con la conseguenza di procurare un danno enorme alla Rai, attraverso la dequalificazione del prodotto e lo spreco immenso delle migliori risorse professionali (potrei fare tanti nomi, prima del mio). Se con questo metodo fosse riuscito a fermarmi, non avrebbe mai fatto ricorso al potere disciplinare. Infatti la casistica, fantasiosa e bizzarra, delle contestazioni che mi sono state mosse parla da sola.
Finora – prosegue Di Natale – ho denunciato tutto ai vertici Rai, dal Cda al direttore generale, dal direttore di testata a quello delle risorse umane, ma ho portato alcune vicende anche a conoscenza della Corte dei Conti, come la pubblicità occulta e il racket delle maggiorazioni retributive in mano al solito gruppo che, per le qualifiche più alte, all’azienda costa di più, in contrasto con ogni principio di rotazione, di funzionalità della redazione ed esigenze di prodotto. In quel caso ho informato anche la Procura, come in occasione delle pressioni di mafiosi per far volare, contro le norme di sicurezza, gli elicotteri per la ripresa delle immagini di un evento sportivo che poi la Rai avrebbe trasmesso, come poi puntualmente avvenuto.
In quel caso – prosegue il giornalista licenziato – un’inchiesta penale, vertente su altri fatti, ha documentato una corrispondenza di interessi tra personaggi mafiosi e le decisioni sul prodotto informativo della Tgr Sicilia. Quando ho segnalato la vicenda, peraltro trattata da
numerosi organi d’informazione, al direttore del personale Flussi perché a tutela della Rai accertasse se vi fossero stati comportamenti sconvenienti o lesivi dell’interesse dell’Azienda, ad essere incolpato sono stato io, con l’assurda contestazione che avrei sostenuto il falso quando la stessa Azienda con altre parole ha ammesso esattamente quanto da me sostenuto.
Credo che a scatenare il licenziamento – racconta sempre Di Natale – sia stata, tra le tante mie iniziative, questa mia segnalazione, peraltro non frutto di una mia indagine, ma affiorata sulla stampa per la casualità del deposito in Senato di intercettazioni in un’inchiesta per corruzione. Anche un mio esposto del 2011 ha dato molto fastidio. Centinaia gli episodi da me denunciati, tutti documentati. Un Auditing-farsa li ha neutralizzati, con l’apodittica affermazione in due righe che non vi erano responsabilità. Un esito comunicato dall’allora direttore Maccari prima che si svolgesse l’istruttoria e ben cinque mesi prima della conclusione del procedimento. Ancora attendiamo di sapere se i fatti da me segnalati erano veri e però leciti o se invece erano falsi. Per tutto ciò avevo già pagato con multe, trattenute retributive e con ben 34 giorni di sospensione dal servizio e dallo stipendio. Tutte sanzioni illegittime, strumentali e ritorsive.
Sta succedendo – spiega il giornalista mandato a casa dalla Rai – ciò che si può immaginare facilmente dinanzi ad una gestione militare della redazione, affidata ad un braccio armato che si muove a tutela di interessi privati in contrasto con quelli del Servizio pubblico e che, eliminando il sottoscritto, ha esibito il suo volto più feroce e convincente. I colleghi che da questa gestione hanno tratto vantaggi immensi, credo che non riuscirebbero più, con l’efficacia di prima, a reggere il ruolo di sostegno della controparte: sono contento che almeno a qualcosa sia servita la mia azione, sostenuta anche da tanti colleghi dalla schiena dritta, purtroppo quasi sempre in minoranza. Ma in questo campo non è facile trovare chi sia disposto a misurarsi con questo tipo di gestione. È difficile trovare chi accetti di andare al massacro dopo quello che è stato fatto a me con i provvedimenti disciplinari, e a tanti colleghi, me compreso, attraverso l’emarginazione e l’annientamento professionale.
E adesso? Mi rivolgerò al giudice del lavoro, non solo in chiave difensiva, per ottenere una sentenza che neghi la giusta causa nel licenziamento e mi reintegri nel posto di lavoro ma, soprattutto, intenterò una causa per l’emarginazione professionale, le discriminazioni, le tante ritorsioni che, ancora prima del licenziamento, ho dovuto subire. I dati parlano chiaro e intendo farli valere. Ma non è questo l’obiettivo più importante della mia azione. Mi interessa soprattutto suscitare l’attenzione civica su questo modo di gestire un pezzo di Servizio pubblico finanziato dai cittadini. Il vero fine deve essere questo: rimuovere le cause – bel al di là del ripristino dei miei diritti violati – di questa condizione assurda cui è stato ridotto un bene pubblico prezioso, e fare in modo che ciò non possa più accadere. Se avessi voluto cercare tutele personali non avrei fatto ciò che ho fatto.
Mi sono battuto per un principio, di civiltà e di dignità, personale e professionale conclude Di Natale – a tutela non solo dei colleghi dalla schiena dritta, ma, anche e soprattutto, degli utenti-cittadini-contribuenti. Nutro quindi la fondata speranza che, anche su questo terreno, possano giungere risultati positivi.
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