Il ‘governo del Quirinale’ visto dagli Usa

Dopo l’euforia diffusasi anche qui a New York per le dimissioni di Silvio Berlusconi, eccoci tornati alla realtà: lo spread risale e negli Stati Uniti si riguarda all’Italia con pessimismo. Perché così presto? Non è più possibile ottenere “la botte piena e la moglie ubriaca”, cioè un governo che dia fiducia ai mercati e allo stesso tempo ridare la credibilità all’Italia di essere in grado di far funzionare la sua democrazia.

Dopo il week end di festa per le dimissioni di Silvio il terribile, tra chi osserva d’oltreoceano si nota che “congelare” la democrazia è sempre un segnale di debolezza da parte di un Paese e deve avere sempre il carattere di urgenza, cioè il governo “straordinario” deve durare il meno possibile.

Cercando di ragionare senza farci accecare dall’abbaglio che un’agognata guarigione possibile dalla “berlusconite” valga qualunque soluzione, del varo del goveno Monti si potrà essere grati, ma sicuramente non fieri. Da come si è ridotta la politica in Italia, si capisce che in questo momento il professore della ‘Bocconi’ rappresenti la speranza per evitare la catrastrofe, ma finiamola con la programmazione della festa “prolungata”. Il governo di “emergenza nazionale” è una necessità, ma la democrazia italiana dovrà farsi subito un esame di coscienza, espiare i suoi peccati e ridare al più presto la scelta ai cittadini di scegliersi un governo attraverso le elezioni. Solo così l’Italia potrà riottenere quella fiducia internazionale che salva non solo se stessa, ma l’intera Europa.

Dagli Usa fa una certa impressione vedere la nascita di un governo “tecnico”, non scelto attraverso le elezioni. I sistemi sono totalmente diversi, è vero, in Italia si governa solo dopo aver ottenuto la fiducia del Parlamento, ma negli ultimi anni, sia Berlusconi che Prodi, erano diventati premier mettendoci la faccia e vincendo le elezioni. Con il governo Monti, l’Italia sembra tornare indietro di venti anni. Era necessario? Sí, lo era, ma questo governo “del Quirinale”, lo ripetiamo, nel lungo periodo non potrà fare mantenere all’Italia la fiducia che le serve.

Gli Stati Uniti vissero un momento forse simile, quando Gerald Ford subentrò a Richard Nixon travolto dallo scandalo Watergate. Ford resta l’unico presidente della storia americana a non essere mai stato eletto alla carica. Infatti il 38esimo presidente non faceva parte, come vice presidente, del ticket elettorale che elesse per la seconda volta alla Casa Bianca Nixon nel ‘72 . Ford era stato nominato alla vicepresidenza nel ’73 dopo le dimissioni di Spiro Agnew coinvolto a sua volta in uno scandalo. Ford si ritrovò presidente nel ’74 senza essere stato mai eletto vicepresidente. Così la sua presidenza “mai eletta” governò sulla democrazia piú potente della terra per due anni. A Ford, infine, non riuscí di evitare di passare alla storia come l’unico presidente non eletto degli Stati Uniti, perché perse la sfida elettorale del ‘76 contro Jimmy Carter.

Ma, se vogliamo insistere col paragone, almeno Ford al Congresso, di cui era il leader repubblicano, era stato eletto una dozzina di volte prima che diventasse presidente. Mario Monti al Senato italiano ci è entrato 24 ore prima di ricevere l’incarico di Napolitano, grazie al Presidente che con un colpo di “genio”, anzi forse meglio dire “furbizia istituzionale,” lo ha nominato senatore a vita.

Al di là dei meriti di Ford (che non furono pochi) gli anni della sua presidenza sono ancora percepiti come uno dei periodi più bui per la democrazia Americana, perché la legittimità ricevuta dal voto resta il fondamento dell’autorità di un governo per esercitare la sua funzione in democrazia. Lo stesso George W. Bush, nei primi mesi del suo primo mandato, soffrì moltissimo il fatto che la sua vittoria elettorale contro Al Gore fosse arrivata solo dopo la sentenza della Corte Suprema. Solo con lo shock dell’11 settembre, Bush riconquistò quel “riconoscimento a governare” di tutti gli americani.

Quello che ci preme affermare è che vista dagli Usa, l’impresa di Monti ci appare sí necessaria, ma assai triste. Da qui si capisce quanto la democrazia italiana sia in evoluzione e come il cosidetto regime della partitocrazia (o “stato dei partiti”), abbia ormai portato alla metastasi del sistema politico. Monti diventa capo del governo (speriamo) perché Giorgio Napolitano non vuole far cadere l’Italia e l’Europa nel precipizio. Ma inutile girarci intorno, la democrazia viene come “sospesa” e dovrà essere rimessa in moto al più presto.

Per questo le dichiarazioni di Monti sul non darsi limiti di tempo per il suo governo (“Il mio orizzonte temporale è il termine della legislatura”, ha detto) non appaiono in sintonia col sentimento di “straordinarietà” che il suo esecutivo dovrebbe trasmettere per meglio legittimare la sua azione. Il professor Monti viene accettato dalla maggioranza degli italiani perché nessuno vuol far crollare il Paese, l’euro e l’Europa, ma il suo governo non è stato “scelto” dagli italiani. Si affretti quindi a far approvare le misure necessarie a frenare lo “spread impazzito”, spinga il Parlamento nell’approvare una nuova legge elettorale e poi si dimetta. Se poi Monti vorrà farsi riconfermare al governo del Paese, per carità è un suo diritto. Da senatore a vita si farà nominare leader di una coalizione “Monti for premier” (come Bocchino, il vice leader di Fli, ha già indicato forse apposta per bruciarlo…).

Solo cosí Monti potrà continuare a governare nel 2013 e oltre. Ma quando il professore dice che vuole fare un governo che governi fino a fine legislatura, perché “c’è tanto da fare”, significa confermare al mondo che la democrazia italiana resta in coma e ha bisogno di essere tenuta in vita “artificialmente”. Questo, a prescindere dalle riforme che Monti saprà portare avanti, non ridarà fiducia ai mercati. Già, proprio quei mercati “assatanati”, in realtà nel lungo periodo scelgono sempre di favorire quei Paesi dove la democrazia è sana e riesce ad esprimere governi eletti dalla maggioranza.

Monti smetta di sognare la “botte piena e la moglie ubriaca”, perché le consultazioni che sta avendo in queste ore trasmettono solo questo, cioè la ricerca dell’accordo con i partiti per “durare” il piú a lungo possibile. Invece presenti senza più indugi la lista di ministri, fatta di politici e/o tecnici non importa, ma che siano coloro che lui ritiene più adatti al compito, e poi vada al voto di fiducia del Parlamento. Toccherà alla fine ad ogni deputato prendersi la responsabilità di fronte agli italiani di decidere se optare per l’interesse del proprio partito o quello dell’Italia. Della Lega si è subito capito, per gli altri è giunta l’ora della verità. Ma le “consultazioni”, invece, fanno apparire Monti come colui che distribuisce certe “rassicurazioni” per arrivare al 2013.

Non c’è tempo da perdere: Monti ottenga la fiducia, faccia le riforme necessarie, aiuti a far cambiare la legge elettorale affinché gli italiani possano riappropiarsi del diritto di scegliere chi eleggere in Parlamento, e poi si dimetta. Tutto questo si può fare in pochi mesi, non alla fine della legislatura.

Paradossalmente, con il suo ultimo atto delle dimissioni, Silvio Berlusconi appare come lo “statista” che pone l’interesse del Paese prima di quello personale. Attendiamo di vedere nelle prossime mosse del nuovo premier scelto da Napolitano, che l’interesse dell’Italia e della sua democrazia resti prioritario su qualunque altro.

 

Questo articolo è stato già pubblicato su lindro.it

 

Stefano Vaccara

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