Provate a immaginare se Claudio Fava avesse scritto Il giuramento per uno sceneggiato televisivo, possibilmente Rai: sarebbe stato una favola morale, una parabola. E le parabole stanno un po’ sul naso alla gente, pizzicano le narici come incenso, sanno di fiore che non marcisce. Anzi, peggio che una favola morale, peggio che una parabola, sarebbe stato un’agiografia: Mario Carrara il suo eroe, martire delle camicie brune, che in difesa di un alto dovere morale rinuncia alla carriera e rifiuta di giurare fedeltà al fascismo. Ma a guardarlo bene, Il giuramento non pizzica come incenso, non sa di fiore che non marcisce. Pizzica come uno spillo che insinua un tarlo nella mente, e per questo ha il sapore dell’umano.
A parità di storia narrata – dunque ci chiediamo – come si riesce a evitare il rischio dell’agiografia, il rischio di essere retorici? E lo chiediamo anche al protagonista David Coco. «Tu l’hai visto lo spettacolo?» digrigna l’attore per tutta risposta. Gli brilla una stranezza nell’occhio, è provato dalla fatica ma ancora pieno di bacchico entusiasmo. «Sì». «E ti è parso retorico?». «No». Ed era risposta sincera, ma comunque dinanzi a quell’occhio acceso di una luce strana non avresti potuto dir altro. «Ecco come si evita la retorica – replica Coco -. Così».
Più moderata – certo non surriscaldata dalla foga del palcoscenico – è la risposta del regista Ninni Bruschetta. «Il biografismo è fugato dal fatto che del personaggio si sa davvero poco. C’è in questa messa in scena – aggiunge – un lavoro di fantasia dichiarato da parte dell’autore, che è quello di presentare un personaggio con alcune caratteristiche “rubate” all’individuo storico, tra cui la più interessante è quella di essere una persona perfettamente concentrata sul suo lavoro, e che conosce il senso del suo lavoro». «Quindi – riprende fiato Bruschetta – nel momento in cui viene spinto a occuparsi di cose che siano avulse dalla sua professione, lui rinuncia. Questa è stata la mossa drammaturgicamente più intelligente, perché ci ha evitato la contrapposizione ideologica».
Sulla stessa falsa riga, continua Coco: «Sarebbe stupido leggere questo come uno spettacolo antifascista. Non stiamo facendo propaganda antifascista. Ed è per questo che non c’è retorica nelle parole di Claudio. C’è solo bisogno di onestà, di correttezza, di libertà, ma del tutto personale. Quello che dice il mio personaggio – spiega l’attore – alla fine è verissimo: “Io lo faccio solo per me”. E i dodici professori che rifiutarono, credo lo fecero per sé, cioè per non tradire sé stessi, per non tradire quello in cui credevano. È una cosa enorme, che rischia di apparire retorica, ma non lo è. Io – continua David Coco – non ho mai pensato che il mio personaggio fosse politico… anzi, è tutt’altro. Non è politico, non lo è. Dice: “Io sono uno scienziato, perché devo essere politico?” Vuol essere lasciato in pace dall’oratoria. Questi – conclude – sono personaggi che non hanno nulla di retorico, semplicemente si parla di personaggi che hanno detto no».
Più uomo che martire, più uomo che eroe, Mario Carrara. E più uomini che antagonisti i suoi giovani allievi in camicia nera. Le camicie brune qui non sono altro che ragazzotti che inneggiano alla goliardia e alla giovinezza, irretiti dal conformismo fascista come da una moda, non da una ideologia perversa. «C’è tanta empatia per questi personaggi – dice Ninni Bruschetta -. Sia perché interpretati da quattro grandi attori dello Stabile, sia perché l’autore li presenta in modo umano».
Non una favola morale, non una parabola, non un’agiografia. Il giuramento è solo la storia di un uomo. E siccome è la storia di un uomo, all’uomo può chiedere: «Tu giureresti?». E su questa domanda, far calare il sipario.
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