«Sarà il Consiglio superiore della magistratura a valutare l’idoneità del giudice a presiedere una sezione che decide di questioni così delicate come la libertà delle persone, se ne ha la serenità e l’equilibrio». Così l’avvocato Stefano Giordano – figlio di Alfonso, presidente della Corte del maxiprocesso – reagisce a quella che ha definito un’«inciviltà culturale». Tutto parte dalla frase «Qui siamo in un posto civile, non a Palermo» che si è sentito rivolgere dal presidente del Tribunale del riesame di Trento Carlo Ancona. Il legale siciliano presenterà un esposto all’Ordine degli avvocati di appartenenza e, da qui, potrebbe partire una richiesta di avvio di sanzione disciplinare al Csm nei confronti del magistrato trentino (anche gli ispettori del Ministero della Giustizia chiederanno al procuratore generale di Trento una relazione sul fatto). «Una vicenda gravissima – commenta il presidente dell’Ordine degli avvocati di Palermo Francesco Greco – Apriremo un fascicolo, acquisiremo i documenti e, appena avremo il verbale di quell’udienza, faremo le nostre valutazioni».
Ma i tempi potrebbero non essere così brevi. L’avvocato Giordano, infatti, non è ancora riuscito a entrare in possesso del verbale. E, intanto, ripercorre per Meridionews quella giornata: «Stavo aspettando il mio turno al tribunale del Riesame, quando mi sono accorto che in aula si stava parlando del caso del mio cliente, una vicenda giudiziaria delicata. Sono entrato e ho trovato l’aula piena: l’udienza, insomma, era di fatto cominciata». Da questo momento la bagarre: «L’esordio del presidente è stato “Avvocato dov’era? Si era nascosto?”. Pensavo scherzasse». Ma quando Giordano prende la parola, il giudice lo interrompe. «Mi ha detto che non avevo più niente da dire perché la Cassazione aveva già detto tutto – spiega – Ma io ero arrivato a Trento da Palermo e volevo fare le mie considerazioni. Il giudice si è rivolto a me alzando la voce. In un primo momento ha detto che non potevo produrre prove. Ho insistito, ma lui mi ha zittito pronunciando quella frase». L’ormai noto: «Avvocato, taccia, qui siamo in un posto civile, non siamo a Palermo». «Io – racconta Giordano – mi sono guardato sbigottito col mio collaboratore».
Un atteggiamento che lascia perplesso anche il presidente dell’Ordine degli avvocati, Greco: «Se la motivazione per cui l’avvocato Giordano non doveva parlare risiedeva nel fatto che era stata già decisa l’assoluzione – dice – sarebbe legittimo pensare che uno stesso atteggiamento si sarebbe potuto assumere anche in caso di decisione contraria. Allora a che serve l’udienza? – si chiede Greco – A questo punto, seguendo questo ragionamento, poco importerebbe, ai fini della procedura, se la Cassazione aveva annullato o meno la decisione del giudice. In ogni caso – chiosa Greco – Non si può dire: “Io avevo già deciso, per cui era inutile che l’avvocato parlasse”». Una vicenda che, a prescindere dalle ripercussioni formali, ha colpito profondamente l’avvocato Giordano anche dal punto di vista personale: «Da palermitano – dice – mi ritengo indignato dal fatto che possano esistere persone che si esprimono così. Per questo ho voluto fare mettere a verbale la frase. Non si tratta di difendere un mio interesse personale e non è nemmeno per il mio assistito, che non so quanto beneficerà da questa gazzarra. L’ho fatto perché io mi sento fiero di essere palermitano».
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