«Il giornalismo? Un’eresia lo salverà»

«Il giornalismo generalista è in crisi. Non si può pensare, come una volta, di fare questo mestiere diventando tuttologi. Bisogna invece specializzarsi e lavorare per produrre una nuova forma di informazione». È il consiglio che Vittorio Zambardino – blogger, giornalista esperto di nuove tecnologie e coautore, insieme a Massimo Russo, del libro “Eretici Digitali” – ha rivolto agli studenti che hanno riempito, mercoledì pomeriggio, il Piccolo refettorio delle biblioteche riunite Civica ed Ursino Recupero, al Monastero dei Benedettini. Un incontro su media, democrazia e nuovo giornalismo, organizzato da Step1, Radio Zammù e Upress, durante il quale sono state illustrate le tesi del manifesto degli Eretici Digitali.

«Siamo qui per parlare di “temi eretici”, di eresia come scelta di una strada diversa da quella del coro. Questo saggio, se da un lato demolisce, indica anche tante vie d’uscita», spiega Rosa Maria Di Natale, giornalista e docente a contratto della facoltà di Lingue di Catania. Al tavolo dei relatori, con lei, anche alcuni “eretici”: Carmen Valisano, Agata Pasqualino e Roberto Sammito, tre degli autori dell’inchiesta collettiva a undici voci “Eleven Catania”, realizzata quasi interamente dai ragazzi di Step1 e Radio Zammù e coordinata proprio dalla professoressa Di Natale.

«Abbiamo fatto un grande sforzo per rendere questo libro semplice – avverte Zambardino, presentando il suo lavoro – perché affronta argomenti intersecati e complessi, anche se non ne esaurisce nessuno». Il giornalista Gianluca Reale, moderatore dell’incontro, porta la riflessione su uno dei temi centrali del saggio: i dogmi degli apologeti di Internet. «La teoria apologetica è un grosso rischio – spiega Zambardino – perché pensare al web come la piena realizzazione della libertà di espressione è un’illusione».

L’ex giornalista di Repubblica prende come esempio la nuova legge sulle intercettazioni e il nuovo codice di autoregolamentazione per i contenuti on line proposto dal ministro Maroni. Si tratta di «misure che magari si ispirano a principi giusti, ma che assumono un carattere intimidatorio e possono trasformarsi in censura. C’è chi dice che di fronte a questo pericolo la rete sia talmente potente da riuscire ad aggirare le censure, ma io dissento. Solo i più bravi dell’epoca moderna scavalcheranno i paletti, perché conoscono la tecnologia. Ma la massa non potrà fare nulla».

Ricollegandosi, poi, alla difesa della privacy su internet, Zambardino chiarisce che «rispetto al giornalismo scritto, la rete semplifica i processi di distruzione della reputazione. E non è vero che sui tempi lunghi correggerà i propri errori, come pensano in molti: l’idea del web onnipotente che non fa errori è un’utopia».

Con le domande degli “eretici” di Radio Zammù e Step1 il discorso si sposta sulla questione della rete filtrata all’università di Catania e dell’impossibilità per gli utenti, studenti compresi, di accedere ai social media. Zambardino commenta: «In generale è vero che, in ambito lavorativo, i social network possono rappresentare una distrazione. All’Università però vietarne l’utilizzo è sbagliato proprio dal punto di vista dei compiti d’istituto dell’Università, che sono quelli di educare».

Zambardino si sofferma poi sulle conseguenze delle leggi penali che riguardano la stampa, e che in certi casi obbligano a una forma di “censura”. «Se in un giornale compare una diffamazione, viene condannato l’autore dell’articolo, ma anche il direttore, che risponde per omesso controllo. Per la stessa ragione nel mio blog sono obbligato a non pubblicare alcuni commenti che giudico offensivi. Tuttavia dovrebbe essere la persona singola a prendersi le sue responsabilità. Fino a quando la legge coinvolgerà nel controllo un terzo soggetto, sicuramente obbligherà alla censura».

In prospettiva, l’idea che debbano essere i provider a esercitare un controllo sui contenuti da loro pubblicati disegna uno scenario inquietante: «La valutazione sull’esistenza di una diffamazione dovrebbe farla un giudice. Invece, in questo modo, la faranno degli impiegati delle aziende che operano su Internet, decidendo secondo la loro discrezionalità». Il problema andrebbe invece profondamente ripensato. Si potrebbe ad esempio regolamentare l’anonimato in rete, «collegando ogni abbonamento internet con un numero di cellulare, in modo da permettere alla parte che si sente lesa di identificare il possibile diffamatore e chiamare in causa direttamente con lui».

Ma è matura, l’opinione pubblica italiana, per discutere di questi argomenti? Ci si può aspettare che, nella prossima campagna elettorale, l’innovazione digitale divenga un tema di confronto politico? Secondo Zambardino non c’è da essere troppo ottimisti. «La nostra classe dirigente tenta di normare fenomeni di costume nuovi con leggi già esistenti», osserva. Un esempio è la legge Pisanu antiterrorismo, che impone a tutti i fruitori della rete di essere registrati e limita fortemente l’uso del wi-fi: una legge che lo stesso Pisanu considera ormai anacronistica. «Questi temi dovranno essere posti – conclude Zambardino – ma l’opinione pubblica non è ancora pronta. È una battaglia da fare con tutto il popolo italiano».

Le domande del pubblico vertono sul rapporto tra il web e i giornalisti professionisti (o meglio “professionali”, come dice Zambardino, che è favorevole all’abolizione dell’Ordine). Alcuni operatori dell’informazione – osserva una ragazza – sostengono addirittura che le notizie che si trovano on line non siano vera informazione. Zambardino non ha peli sulla lingua: «I giornalisti italiani non vogliono fare i conti con una situazione in cui il loro ruolo viene messo in discussione. La rete è già una fonte, l’importante è verificare sempre». La verifica delle notizie pubblicate su Internet è naturalmente difficile, anche perché non ci si può basare sull’autorevolezza della fonte. «Non date tutto per scontato, siate smart, andate a vedere con i vostri occhi», consiglia Zambardino. E ricorda che, qualche volta, i giornali hanno ripreso da Internet autentiche bufale – come quella dei gattini giapponesi allevati in bottiglia – senza un minimo di verifica.

Non si poteva non parlare infine dell’inchiesta collettiva “Eleven Catania”, vincitrice del premio “Eretici Digitali” al Festival internazionale del Giornalismo di Perugia 2010. Zambardino – che faceva parte della giuria – ne approfitta per riflettere sulla possibilità di fare informazione dal basso. «Non c’è un giornalismo alto o basso – precisa –, ci sono cose che funzionano. Siamo in piena tempesta e le chance dei giovani dipendono da nuove possibilità, legate alle nuove tecnologie e alla multimedialità. Bisogna rigenerare il giornalismo con serietà e professionalità. E creare professionalità specifiche per il giornalismo digitale. Non dovete trasformarvi in programmatori, ma aprire la mente: dove il mercato lo richiede, le persone creative trovano lavoro, ma quando questa possibilità viene a mancare dovete essere voi a trovare uno sbocco alla vostra creatività, sapervi sempre reinventare».

Federica Motta

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