Il funerale di Ludmilla Bengasi Storia illustrata a puntate

«In un piccolo paese muore Ludmilla Bengasi; dopo la sua scomparsa le cose assumono una forma anomala. Il reale è una scomoda ipotesi; come questo romanzo, del resto». E’ la sintesi di un esperimento che da oggi, ogni due domeniche, troverete su CTzen, un romanzo a puntate opera dell’ingegno del nostro blogger Sergio Salamone. Come se non bastasse, abbiamo coinvolto un bravissimo Francesco Guarino perché illustrasse alcune scene e personaggi dello strano paese in cui la vicenda narrata si svolge. E allora, che la storia abbia inizio.

***

Il funerale di Ludmilla Bengasi fu come la parentela tutta se l’era immaginato: il prete salmodiava intento, i chierichetti sbadigliavano, e la gente entrava in chiesa accortamente; il momento della predica poi, fu un vero e proprio capolavoro d’arte oratoria.

“Fratelli e sorelle, e mai come oggi tanto affini nell’afflizione si videro poveri, inermi individui trattenere il fiato nell’esasperato strazio di un abbandono. Cosa fece mai Ludmilla per meritare la visita della triste signora? Credette. E ciò la porterà a nuova Grazia, del resto visse come tutti noi sognando la propria e altrui felicità…”

E qui si udivano perfino singulti come bolle d’aria dal fondo di uno stagno.

“…adesso non rimane che il suo corpo a testimoniare che ella è stata e, fra pochi giorni, nemmeno questo ci servirà a nostra consolazione; Dio vedrà e provvederà per lei; a voi rimarranno i gesti che ebbe la nostra misera estinta e la fede nei cuori di chi crede fermamente.”

Con una pausa apparentemente naturale, in realtà ben studiata, il sacerdote inumidì le proprie dita, facendole poi schioccare.

“Ecco che s’odono i secondi della vostra vita ticchettare e svanire come sciami d’insetti; solo la speranza in Cristo potrà redimervi e rendere quel che resta della vostra esistenza un inno di carità e amore.”

Detto ciò, sedette alquanto compiaciuto: davanti gli si parava una folla variamente atteggiata: chi, sgomento, guardava fissamente la bara, chi, con estrema difficoltà, malcelava l’impazienza, chi aveva addirittura l’impudicizia di stuzzicarsi le narici roteando freneticamente il dito.

Al di fuori della chiesa il sole d’agosto rallentava ogni cosa: la poca gente rimasta all’esterno ciondolava per le strade senza uno scopo, i cani alitavano esausti, in attesa della frescura, e il sindaco malediceva l’idea di aver voluto indossare cravatta e giacca.

Guardava i suoi compaesani senza orgoglio, con l’intima consapevolezza che sarebbero rimasti per sempre dei mediocri; soltanto quando sentì vibrare le campane si ricordò di Ludmilla Bengasi e della sua misteriosa dipartita.

Ludmilla Bengasi non sarebbe stata rimpianta, costantemente arcigna, aveva regolato fino alla fine le gesta di tutti i suoi frequentatori. La vecchiaia le si addiceva, come il naso adunco e la leggera peluria che le rivestiva il labbro superiore; le mani, dalla struttura possente, si muovevano con instancabile perentorietà.

Raccontava alle signore abitualmente in visita, di essere rimasta zitella per scelta, ma di avere avuto svariati spasimanti.

Come la cosa potesse essere vera se lo chiedevano in molti, benché infatti avesse una figura tutto sommato gradevole, non era una lode vivente alla femminilità; era stentorea, aveva un’andatura militare e, a onor del vero, le accadeva spesso di sputare, incespicando tra le parole.
Di ciò ella non s’era mai accorta in vita, aveva ritenuto che quell’utilizzo costante del fazzoletto ad asciugarsi il volto da parte dei suoi interlocutori, dipendesse dal timore di averla di fronte; in realtà c’era del vero anche in questa considerazione, in quanto non c’era nessuno che riuscisse a fissare i suoi occhi per più di un istante: il suo sguardo era pietra lavica.
Anche nel momento in cui morì e il cugino Pierpiro si provò a chiuderle le palpebre, non vi riuscì, esse parevano molle riottose, e per lungo tempo si scoprì a tremare al ricordo di quello sguardo imperioso.
Perfino il sindaco, che faceva tesoro del suo ruolo per apparire rispettabile e fermo, non osava contraddire la signorina Bengasi, nemmeno quando ella gli dava dell’inetto; anzi boccheggiava come un pesce preso alla rete e s’inebetiva, come quando, fanciullo, veniva ripreso severamente dal padre.

Così la morte di Ludmilla Bengasi fu la dimostrazione più acclarata che tutti, ma proprio tutti, avrebbero dovuto portare ossa e carne al cimitero.

Eppure…eppure il decesso della signorina fu spaventosamente insolito. Due sere prima s’era affacciata al balcone che dava sulla strada principale, come soleva fare di frequente: trascorreva il tramonto a quel modo, come a voler dare commiato alla popolazione tutta che, inevitabilmente, passava sotto casa sua.

Dal basso i signori, le signore e perfino i bambini, la omaggiavano con un reverenziale inchino, figlio del rispetto e, soprattutto, del timore dovutole; insomma la signorina Bengasi era nel pensiero della gente più del papa in vaticano.

Fine prima puntata

Sergio Salamone nasce a Catania il 12 settembre del 1975, il 2 novembre dello stesso anno muore Pier Paolo Pasolini: è l’inizio dell’inquietante regressione della vita culturale italiana. Laureatosi in Filosofia con la tesi Chi siamo, dove andiamo? I cioè e i perché del qualsivoglia, comincia a fare teatro dialettale e sperimentale, ma finisce presto l’attività a causa del lancio ripetuto di ortaggi durissimi.
Dopo essere stato ingaggiato come scimmia parlante nel circo Togni e come uomo cannolo nel circo Orfei, stanco di una vita nomade e insensata, si è abilitato in Italiano, Storia e Geografia per l’insegnamento nelle scuole medie.
Attualmente risiede a Milano e combatte in trincea con le de-generazioni future. La sua vita è tuttora priva di scopo. Aiutoooo!

Francesco Guarino, nato e cresciuto a Milano. Meglio dire sviluppato.
Oltre ad aver sviluppato i miei apparati corporei, in questa città ho sviluppato un certo cinismo e una elevata tolleranza alla nebbia e alle zanzare. Oltre a fare tutto quello che facevano i miei coetanei per uniformarsi al gruppo, essendo stato adolescente negli anni 80, in cui furono le marche dei vestiti a definire i tipi di personalità e Raffaella Carrà il punto di riferimento per la morale comune, sognavo di fare il benzinaio, il camionista, la rock star, l’attore e infine l’artista.
Dopo la scuola dell’obbligo, superata standomene ben nascosto nella media, con una fedina penale che mette in luce la personalità del ribelle solo per aver regalato due risate ai miei compagni di classe ho scelto di seguire i velati consigli della prof. Ballerini che con l’appoggio di mia madre spingevano perché io diventassi il nuovo Picasso. Poi più in là ho scoperto che Picasso non mi fa impazzire. Anzi. Dopo Guernica avrebbe potuto provare un’altra strada.
Ho fatto il liceo artistico dove mi piaceva la Susanna Boccomini. Era un anno avanti a me e sempre girata dalla parte opposta a dove mi trovavo io. Ho seguito la carriera di studi all’Accademia delle Belle Arti dove mi piacevano molte ragazze, le quali mi facevano frequentare quasi tutti i corsi. Grazie alle ragazze ho ascoltato interessanti monologhi sull’arte, sul teatro e sul cinema.
Ho chiacchierato nei corridoi e, per la prima volta, non solo di ragazze e calcio ma di ragazze, calcio e della mostra che avevamo visto il giorno prima. Si prediligevano i vernissage dove veniva offerto alcool. Tra un calice di prosecco e un bacio elemosinato ho imbastito la mia cultura e mi sono laureato in scenografia. La mia tesi era una ricerca sull’utilizzo del video nell’arte.
Non ho mai smesso di disegnare se non in alcuni periodi di totale rigetto. Uno di questi, dopo aver lavorato come visualizer per un simpatico-folle che mi chiedeva di disegnare ogni cosa
e per 5 giorni la settimana. Così come fanno i bambini che ti chiedono di disegnare Topolino, Pippo, un autobus o Goku, il simpatico-folle mi faceva visualizzare i suoi fantastici progetti innovativi che non ho ancora mai visto realizzati. L’anno seguente non avevo più nulla da disegnare perché avevo saccheggiato tutto il regno della Fantasia. Un giorno spunta Sergio e mi dice con quella sua espressione entusiasta e convincente: compare Frà, sto scrivendo un romanzo, ti andrebbe di fare le illustrazioni? Ancora oggi mi trema la mano davanti al foglio bianco però devo dire che ciò che ho letto de “Il funerale di Ludmilla Bengasi” mi ha aperto un nuovo universo di immagini che ha risvegliato il mio immaginario e mi ha ridato la forza di affrontare il vuoto del foglio.
Un toccasana!
Attualmente ho 38 anni e vivo e lavoro a Buenos Aires. Faccio il camarografo (cameraman) per un canale di notizie, mangio empanadas e sogno tutte le notti la parmigiana di mammà.

[Illustrazione di Francesco Guarino]

Sergio Salamone

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