Sono passate da poco le 9 quando duecento avvocati in toga e mascherina cominciano a recitare il
giuramento professionale davanti alle porte del palazzo di giustizia di Catania. Avvocati, praticanti e neoabilitati
si sono uniti in un gesto simbolico per rivendicare la dignità e il rispetto della categoria
professionale di fronte a «misure tampone assolutamente inefficaci e i cui effetti disastrosi si
vedono oggi e si amplificheranno tra qualche mese». Non usa mezzi termini Goffredo D’Antona,
avvocato penalista che è uno degli organizzatori del fash mob, nel descrivere la situazione di «assoluto disagio»
che dall’inizio della pandemia sono costretti a vivere gli avvocati catanesi a seguito del rinvio di
molti procedimenti penali. «Una sospensione della giustizia – la definisce D’Antona – aggravata da
episodi inopportuni».
Tutti i processi, fatte salve le udienze con detenuti, sono stati
rinviati. Ma per il comitato è fondamentale ripartire. «Stanno riaprendo le discoteche e le palestre, ma non i
tribunali – prosegue D’Antona – con conseguenze non tanto sugli avvocati, ma sui cittadini». A
suscitare la perplessità del comitato spontaneo è il criterio utilizzato per selezionare i processi da
portare avanti e quelli da rinviare. «Non è ben chiaro – spiega il penalista – In Italia
purtroppo ci sono duecento regolamenti, le sezioni hanno adottato protocolli diversi». E questo
aggrava il quadro. «Perché – continua – i processi subiscono rinvii di un anno e oggi ci
stiamo interrogando su quello che accadrà: inevitabilmente quando si riaprirà, il sistema sarà ingolfato».
«A svolgersi in questa fase – commenta Renato Penna, altro penalista presente al flas mob – sono solo i processi con imputati in stato di detenzione, senza contare il fatto che i tempi contingentati fanno venire meno i principi costituzionali del giusto processo. Il diritto di difesa – va avanti Penna – dovrebbe essere esercitato nelle forme più ampie e, invece, in questi mesi subisce compressioni inaccettabili e ingiustificate». A prescindere dal caos generale dovuto alle difficoltà legate al contenimento del virus, tra i corridoi di palazzo di giustizia sono stati due gli episodi che hanno mandato su tutte le furie avvocati e tirocinanti.
Prima il negato accesso in cancelleria a una praticante munita di delega del titolare dello studio. «Aveva la delega per depositare un atto di impugnazione – racconta D’Antona – Non farla entrare, dopo dieci giorni, è inopportuno». Altro episodio – che è anche stato oggetto di segnalazione al Consiglio
dell’ordine degli avvocati – ha riguardato l’atteggiamento di un signore con la mascherina «che in modo irruente – si sottolinea nel documento – redarguiva la collega intimandole di uscire
immediatamente dal tribunale».
La storia riguarda una praticante che, insieme alla propria avvocata Maria Mirenda, stava andando in cancelleria. La professionista, già invitata a uscire – proprio in quanto praticante – dagli agenti di polizia, sarebbe poi stata intimidita da soggetti non immediatamente riconoscibili. «Nell’immediatezza – scrive Mirenda nella segnalazione – forse a causa della mascherina che copriva parzialmente il
viso, non capivo realmente chi si fosse avvicinato». A identificare i due intanto, sono stati gli avvocati presenti al momento in cui i fatti sono avvenuti. «Mi sono informato – spiega D’Antona – e dovrebbero essere il presidente della corte d’Appello di Catania Giuseppe Meliadò e il suo autista».
Al momento dal Coa non è ancora arrivata nessuna risposta in merito. «So che è stata presa in considerazione – afferma l’avvocato – ma non siamo a conoscenza di altro. Si tratta di un episodio grave – sottolinea – perché le misure anti-Covid non legittimano nessuno ad avere
atteggiamenti in contrasto con il nostro profilo professionale».È uno dei tanti praticanti presenti alla manifestazione di oggi a puntare sul «disagio che sta attraversando la giustizia. Siamo soggetti – racconta – a restrizioni e autorizzazioni legate agli orari di cancelleria». Vincoli che mal si conciliano con le esigenze del libero professionista, «che dovrebbe essere messo nelle condizioni di organizzare il lavoro in maniera
autonoma».
Più di un segnale sembra far presagire che il Consiglio dell’Ordine e gli iscritti all’albo siano in
rotta di collisione. «Per il Coa siamo “utenti” – dice una praticante – Una definizione più asettica che professionale». L’ultimo documento che pare confermare la deriva, arriva dalla presidenza del Consiglio dell’ordine che, in una nota a
firma del presidente Rosario Pizzino, definisce la manifestazione di oggi «una lotta di classe che
danneggia l’avvocatura». Critiche infondate per chi, invece, la manifestazione l’ha organizzata. «Quella di
Catania – replica D’Antona in un post su Facebook – è stata una delle tante manifestazioni a livello
nazionale a cui hanno aderito Coa di tutta Italia. La divisione – conclude – non l’abbiamo creata noi,
ma il nostro Coa: è lui che si tira fuori».
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