«Il downloading? Non può essere fermato!»

A sessant’anni tondi, Jean-Hervé Perón sbraita ancora sui palchi a petto nudo. Non solo: devasta barili con seghe elettriche, voteggia fiamme ossidriche, percuote elmi da soldato e non retrocede neanche di un centimetro rispetto alla filosofia Faust. Una band che negli anni ’70 segnò per il rock un punto di non ritorno, quello del Kraut rock: musica senza compromessi, indipendente, avanguardistica, che indaga il rumore, le disconnessioni tra uomo e mondo. Jean Hervé, qualche anno fa passò con Zappi Diermaier (l’altro superstite della formazione originale dei Fuast) anche da Catania e dall’Università, in quell’occasione sfoggiò il suo attaccamento alla musica come espressione artistica e poco commerciale. Già da tempo, infatti, Perón & co. hanno rinunciato ai servizi di una major per fare le cose da sé. E da qualche anno organizzano nella loro fattoria un festival di musica d’avanguardia da consumare come un pranzo familiare. Dunque Jean-Hervé con i suoi capelli da nostalgico hippy, è l’uomo più sbagliato per parlare di web e del digitale? No in realtà è la persona più adatta: curioso quanto basta per interessarsi alla trasformazione, fiero come un monumento per farsela scivolare via.
 
Jean-Hervé, il web ha cambiato il modo di approcciarsi alla musica? Intendo da parte del pubblico ma anche di voi artisti…
Lo dico senza esitare: assolutamente sì! Ma alla stessa misura del primo registratore magnetico, della radio, e dei microfoni. Ogni progresso tecnologico ha influenzato sempre e in maniera radicale l’arte. Internet permette infiniti modi di collaborazione, composizione, ricerca. Puoi davvero lavorare con una persona che non hai mai incontrato e che sta dall’altro capo del pianeta, senza lasciare il proprio studio. Forse la tua domanda si riferisce di più alla questione se l’influenza dei moderni mezzi di comunicazione e di produzione è “buona” o “cattiva” per il processo di fare musica e ascoltarla. Sinceramente non lo so. È ancora presto. Prima pensavo ci fosse del marcio in questo cambiamento, ora sto iniziando a capirne le potenzialità. Staremo a vedere.
 
Nessuno compra più dischi, la gente riempie quantità industriali di musica nei propri I-pod…
Guarda oltre. I tempi stanno mutando. Ai ragazzi non importa più un fico secco dei vecchi eroi della chitarra o dei frontman carismatici. Una silhouette dietro un laptop è sufficiente per loro, riesce ad accenderli. D’altra parte esiste sia la teoria del “acusmatico” (musica fatta da musicisti che non si vedono), sia il vecchio modo di salire sul palco con sentimenti, sudore e lacrime. Bene, suppongo che abbiamo bisogno di ogni tipo di segnale per eccitare i nostri sensi: qualcuno è fisico, qualcun altro è mentale, altri spirituali, astratti ecc…Personalmente adoro il lato fisico della musica, ma tutto sommato non ha poi così senso.
 
Però la fisicità del disco sta finendo sotto i colpi dei downloads. Qualcuno pensa dello scaricare musica come di un “diritto naturale”, una libertà irrinunciabile per la generazione cresciuta col digitale…
Lascia che tutti scarichino ciò che è disponibile. Lascia che sia l’individuo a decidere se ciò che sta facendo è moralmente e legalmente giusto. Una cosa è sicura: il downloading non può essere fermato! Così possiamo solamente farci una risata ed accettarlo. Questo, per lo meno, è ciò che con i Faust abbiamo deciso di fare. Noi incoraggiamo tutti a farci foto o girare video dei nostri concerti, al diavolo! È fico! Certo non diventeremo mai ricchi con la nostra musica…Sono sinceramente convinto che sia positivo che i dischi dei Faust  possano essere condivisi da molti ragazzi in maniera gratuita…certo poi si mettono in mezzo le tasse e l’assicurazione della macchina…
 
Ma esiste una soluzione che accontenti tutti? Musica gratis per la gente e un compenso per gli artisti?
Scusami, ma sono davvero scarso nel risolvere i problemi degli altri. Però trovo una contraddizione nella tua domanda: se la musica fosse gratis per la gente, chi pagherebbe il compenso agli artisti? Intendi che i musicisti potrebbero essere pagati da una specie di quota statale e vivere la propria vita senza l’ansietà del quotidiano concentrandosi solo ed esclusivamente sull’arte? Sarebbe magnifico! Ma temo che tutti vorrebbero fare gli artisti in questo modo e, ti dirò, sarebbe unarottura se non ci fossero sacrifici e rischi. Questo è ciò che l’arte sviluppa: forti emozioni. Senza emozioni non c’è nessuna arte.
 
In tempo di crisi moltissime band stanno abbandonando le proprie case discografiche. I Radiohead hanno lasciato una major per auto prodursi. Che ne pensi?
Le major sono il male necessario. La nostra società si è resa schiava di piaceri decadenti. Questi piaceri e lussurie hanno segnato le pop star e tutto quel glamour di modelle e super gruppi. Chi dovrebbe assecondare tutto questo? Le major. La nostra società le ha create, la nostra società le accetta ed è un gioco assurdo. Odio essere parte di tutto questo ed è così che i Faust hanno rifiutato per ben due volte di diventare “popular”…
 
Nel 1975 abbandonaste la Virgin…
Si esatto. Loro volevano che diventassimo un gruppo pop, sobbarcarci tour incredibili sottoponendoci a ore e ore di promozione proprio come le altre pop band. Fu lo stesso con la Polydor che, ai nostri ripetuti rifiuti, ci cacciarono. Noi però siamo contenti di aver scelto la nostra strada.
 
Ora pare che il loro dominio stia finendo. La crisi di vendite e di identità le sta minando da dentro, pensi che potranno morire?
Mannò! Semplicemente cambieranno le loro maniere. Alla fine i bisogni sono sempre gli stessi, fare soldi. Così i mezzi rimarranno gli stessi, magari in altre forme.
 
Poi ci sono le band più piccole che per sopravvivere sono costrette a fare decine di concerti e stringere la cinghia…
Già. Ho sentito le tue stesse voci. Però non posso aiutarti, noi abbiamo l’immenso privilegio che non campiamo di sola musica.Così, non suoniamo dal vivo per soldi, ma per condividere le nostre melodie ed idee con il pubblico. L’ho già detto prima, non diventeremo ricchi con la nostra musica. L’aspirazione è divertirci.
 
Ad agosto ci sarà il Schiphorst Festival, la rassegna di musica d’avanguardia che organizzi nella tua tenuta vicino Amburgo. Un festival “libero”: nessun’etichetta, nessun mercato, nessuna industria. Ti auguri un futuro di questo tipo per la musica?
Non so. Noi siamo felici che il nostro piccolo festival abbia acquistato lo status di festival “cult” e che tutti lo definiscano come “tre giorni di utopia”. Lì puoi davvero capire cos’è amore per la musica, per via della cura, del rispetto e dell’attenzione che ci mettiamo. Sai…nessuno spreco, non migliaia di persone “sole” ad affollare la scena, ma una grande famiglia. Almeno quella è l’ambizione!

Riccardo Marra

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