Il ‘Divenire’ di Ludovico Einaudi

Il suo ultimo lavoro, “Divenire”, è frutto di una lunga e ampia ricerca durata circa quattro anni. Tutto ebbe inizio dall’evento “I suoni delle Dolomiti”, un’esperienza che ha avuto per lei una certa importanza…

Mi avevano chiesto per il festival di scrivere una musica ispirata alle montagne e sul momento non sapevo bene cosa fare, poi subito dopo mi è venuto in mente che conoscevo Segantini, pittore del Novecento, che aveva dipinto paesaggi di montagna. Tra i suo quadri c’è un trittico che si chiama “La vita, la natura e la morte”, che ha un’idea ciclica e temporale. Ho pensato che poteva essere interessante riprendere l’idea del ciclo e del tempo, e di descrivere vari quadri musicali con questa idea. L’ultimo brano dell’album “Svanire” è ispirato al profilo delle montagne che se uno lo pensa in termini musicali è come vedere visualizzata la melodia che sale e scende senza sapere bene come e quando. Volevo costruire una cosa che avesse un potere evocativo e che però avesse anche un senso di mistero, di indefinito.

 

Dall’uscita del suo ultimo album lei è in classifica. Questo vuol dire che il pubblico italiano non è poi così superficiale come sembra, ma è interessato anche alle nuove composizioni di  musica contemporanea?

C’è un pubblico che evidentemente è interessato anche alla musica che non è necessariamente la canzone. Non che io abbia qualcosa in contrario, però spesso le classifiche sono dominate da canzoni meno belle. Gli artisti e gruppi che di solito ascolto, difficilmente sono in vetta alle classifiche, che tra l’altro in Italia corrispondono a quello che è più commerciale. Spero di non essere diventato anch’io commerciale! Nel corso degli ultimi anni in Italia ci sono tanti artisti che fanno musica di qualità e che sono seguiti da un pubblico più attento e che va ai concerti. Questo mi sembra un segnale positivo in un paese dove la musica è stata concepita sempre come l’ultima delle cose da considerare anche a livello educativo e scolastico. Mi sembra molto triste che la musica non faccia parte dell’educazione di una persona che va a scuola, che non per forza diventerà musicista, ma dovrebbe essere comunque qualcosa da conoscere e da ascoltare nelle scuole come accade in altri paesi europei come Inghilterra o Germania.

 

Sappiamo della sua predilezione per la musica rock. Quali sono gli artisti o i gruppi che lei apprezza di più?

Di recente ho seguito molto il lavoro dei Radiohead, o di altri artisti come Sigur Ros. Sono stato al concerto dei Greenday, ed ascolto anche i Red Hot Chili Peppers o cantautori rock come Ben Harper. Mi piace seguire il rock, perchè mi sembra che dentro questo tipo di musica ci sia comunque un potere comunicativo, una sincerità, una freschezza che forse non c’è nella musica classica, un ambiente ormai un po’ “imbalsamato”.

 

Ci sono i meccanismi che la spingono a comporre e i processi di selezione di un arrangiamento piuttosto che un altro come ad esempio di una sezione orchestrale. Come avviene tutto ciò?

La composizione nasce a seconda dei brani. Ci sono dei brani che io scrivo e che nascono direttamente al pianoforte, quindi la melodia la sviluppo e la finisco in tutte le parti finché sento che il brano ha una su competenza. Poi a sua volta si decide se lasciare questo brano per pianoforte o se fare un arrangiamento prendendo le parti armoniche e melodiche trascrivendole per gli archi. In questo concerto ci sono brani del mio repertorio precedente che ho elaborato per questo gruppo di archi. Altre volte invece il brano nasce da un’improvvisazione o da un’idea – come nel caso della storia delle montagne – dove uno si ispira a qualcosa e a un certo punto, pensando, trova il suono che rappresenta meglio ciò che si ha in mente.

 

Le capita mai di stupirsi quando compone?

A volte si. Quello che uno cerca di raggiungere è arrivare sempre a un momento di entusiasmo. E’ chiaro che se uno non arriva a entusiasmarsi è difficile che gli altri si entusiasmino. Succede che quando si trova quella dimensione di illuminazione, di gioia e di piacere è proprio il momento in cui uno, continuando a suonare il brano anche dal vivo, prova uno stato di eccitazione interiore che ti trascina e che dà una forte emozione dentro.

 

Il riscontro con il pubblico, il cosiddetto feedback, è importante per qualsiasi artista. Per fare musica a volte lei utilizza una videochat, per farsi consigliare dal pubblico stesso…

Si, ho una videocamera e la utilizzo a volte quando sono a casa da solo e faccio le prove, non soltanto in vista di un un concerto. Magari è un pomeriggio in cui non ho voglia di suonare, ma devo comunque esercitarmi quelle due o tre ore come esercizio quotidiano. Invece di stare da solo quindi, attacco la videocamera, così ho un pubblico e ho una motivazione in più per non distrarmi, ma per impegnarmi e suonare… Si accede da un sito che si chiama ivisit.com in una stanza che ha il nome di un mio brano “Nefeli”, ogni tanto vado online però non si sa mai quando! Se una sera improvviso qualcosa, mi piace condividerla con qualcuno. Così se c’è un pubblico, è come se avessi quella carica in più per divertirmi e condividere quel momento con gli altri. Uno dei brani del disco dal titolo “Monday” è nato proprio così.

 

Dai suoi lavori emerge come la natura sia un punto fondamentale da cui partire, una fonte di ispirazione. Come mai ha deciso di intitolare questo album proprio “Divenire” e cosa rappresenta per lei questo “annullarsi” dentro l’energia che scaturisce da esso?

Non so nemmeno come descrivere bene la cosa…è come una sensazione di entrare dentro il suono, di lasciarmi trasportare e di sparire dentro questa cosa, come un’energia che ti porta da qualche parte e che va al di sopra di quello che è il vivere quotidiano. Una specie di flusso che ti prende e ti fa viaggiare mentalmente, però poi è un’energia che senti un po’ in tutto il corpo quando la vivi, perché è una gioia, un senso di pienezza che senti dentro la musica e che vuoi condividere con le persone.

 

Lei è un compositore che parte dalle origini del mondo e arriva nel futuro ancora non scoperto. Il pubblico la acclama perché la sua musica ha anche delle suggestioni antiche che fanno parte di una nostalgia collettiva…

Può darsi, ma più che una nostalgia collettiva, penso che sia in qualche modo guardare e sperimentare delle cose che uno non conosce, andare verso il futuro e provare, ma per farlo devi avere un’áncora da qualche parte. Se guardi anche dietro nella tua storia, nella storia del mondo, nella cultura, trovi degli elementi che ti danno forza che ti rendono più grande di quello che sei come singolo. Se esprimi qualcosa da solo, rimani solo. Se invece impari e guardi quello che gli altri hanno fatto prima di te, trovi dei momenti di ispirazione anche nel passato, e automaticamente quello che fai diventa più corale, la memoria dei ricordi delle cose che racconti diventa più grande e tocca la memoria di più persone. Non so bene come questo avvenga a livello cosciente, ma mi piace trovare spunti nella musica popolare, nella musica del passato, e ogni tanto sento qualcosa che mi interessa, ci ragiono su e cerco di capire come interpretarla. Viaggiando e scoprendo culture diverse dalla mia trovo spunti che mi piace poi raccontare.

 

Cosa significa per lei sperimentare e unire il pianoforte, uno strumento dalle tonalità calde, con l’elettronica, che può sembrare invece più fredda?

L’elettronica è uno strumento neutro, ma non ha ovviamente una connotazione come il pianoforte o la chitarra. E’ un contenitore in cui ci puoi mettere di tutto: un suono freddo, uno caldo, trasformare in un modo o in un altro. E’ come un filtro, un mezzo che ti permette di fare qualunque cosa. In questo caso ho cercato di trovare un’integrazione tra il suono del pianoforte, come una seconda voce che sia in qualche modo “imparentata” col suono elettronico, praticamente un legame sonoro tra pianoforte e computer.

 

Prossimi progetti, a cosa sta lavorando per il futuro?

Quest’anno sono molto impegnato con i concerti, dopo questa tournée che finiamo a Catania, andremo in Inghilterra, poi torneremo in Italia, e poi in Germania e Spagna. A gennaio a Berlino farò delle registrazioni con un gruppo chiamato “To Rococo Rot” con cui ho collaborato durante dei concerti a ottobre, composto da due fratelli – Robert e Ronald Lippok – live electronics e batteria. Robert si occupa della parte elettronica con me anche durante questo concerto.

 

Pensa di ritornare un giorno in Africa, come è già accaduto in passato, dove sono nate collaborazioni sperimentali con artisti locali?

Può darsi, non mi dispiacerebbe, anche se in un certo senso la musica del Mali è un’esplorazione che ho già fatto e approfondito, e non mi aspetto di trovare l’ispirazione che ho già trovato. Mi piacerebbe molto raccogliere tutte le canzoni antiche di quel paese, perchè lì c’è una cultura esclusivamente orale, e farne una trascrizione. Chissà, magari in futuro…

Valeria Arlotta

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