Il Diavolo Buttafuoco

«Non uno scontro, ma un incontro tra Islam e Cristianesimo. Ecco cosa tento di approfondire nel mio romanzo, perché – diciamoci la verità – questo rapportarsi con odio all’altro non fa parte della nostro essere siciliani». Noi siciliani. Noi arabi. Per Pietrangelo Buttafuoco confrontarsi con la cultura islamica significa capire la nostra identità. «Per questo libro mi sono fatto turco. E più mi sono infilato nell’Islam, più ho trovato qualcosa delle mie radici e della mia educazione». E dice quella frase, che ripete più volte nel corso del suo intervento: «Ciò che ci sembra lontano è invece molto vicino».

Le guerre, invece, separano. Il nemico deve essere nemico, non fratello. «La maggior parte di noi ignora molte cose dell’Islam, cose importanti come il culto della Madonna e di Cristo, visto come una figura attesa nell’escatologia islamica».

Temi seri raccontati «sotto forma di gioco, dove ciò che è vero sembra trasfigurato nel falso, e ciò che è falso sembra terribilmente vero». Una scrittura goliardica che è costata al libro le stroncature da parte di molti giornali, fra cui La Repubblica. Silvano Nigro, uno dei relatori dell’incontro, difende il romanzo. «Negli ultimi anni i giovani scrittori hanno puntato troppo sulla tematica, trascurando lo stile. Buttafuoco invece ha scritto un libro pensato, con un linguaggio curato». Molto simile alla sua opera precedente (Le uova del drago) sia nella struttura che nel sistema delle metafore, ma con uno stile più maturo e attento. «La stessa tastiera si è spostata verso un diverso sistema linguistico, più barocco, da leggere dentro una dimensione grottesca. Con un bellissimo sottofondo di rime e assonanze come fosse la colonna sonora della storia».

Fabio Fatuzzo, esponente politico della destra e secondo relatore, continua dicendo che «Il libro si può leggere su due piani, quello narrativo e quello allusivo». Il nome dei personaggi non è scelto a caso. Dal cardinale Taddeo, come San Giuda Taddeo (cugino di Cristo), al diavolo Mac Pharpharel, il demone Farfarello che Dante incontra nella bolgia dei barattieri. E le allusioni a Dante sono tante, lo stesso Diavolo non è uscito dall’Inferno dantesco ma lo ha studiato. Anche Bāhirā – conosciuto nella tradizione come Sergio, il monaco eretico che riconobbe nel giovane Maometto i tratti del Profeta e ne divenne consigliere – richiama al particolare per cui nell’Inferno Maometto è posto tra i seminatori di scismi.

Ai riferimenti letterari si aggiungono quelli legati all’attualità con la polemica nei confronti della politica statunitense e della Chiesa Cattolica, trattata sempre sul piano goliardico dell’intrattenimento. Fatuzzo ricorda la presenza nel romanzo di una scimmia che rappresenta il presidente Bush, «che gli americani chiamano scimmia parlante» e la punizione che spetterebbe ad una delle due parti contraenti nel caso non rispettasse il patto.«Il Diavolo dovrebbe presiedere alcune riunioni dell’onu, mentre il cardinale dovrebbe celebrare una messa beat con chierichetti di sesso femminile».

Buttafuoco parla di Taddeo, del suo carattere profondamente napoletano e delle sue scelte polemiche, come quella di gridare «Viva Tarek Aziz! Proprio come il cardinale vero». Perché i suoi personaggi non sono del tutto inventati. «Vi svelo un segreto. Il cardinale esiste davvero ed è esattamente come l’ho descritto. Molti degli sms che trovate nel libro li ho ancora nel mio cellulare». Anche il personaggio femminile, Sabela, una veterana del kgb che incontra Khomeini a Parigi, è ispirato ad una donna che conosce. «Sono un giornalista, anche quando scrivo un romanzo devo scrivere cose vere».

Ecco perché i protagonisti della storia sono l’Islam e la Chiesa Cattolica. Parte un lungo racconto sulla presa di Gerusalemme, sull’incontro tra il califfo Umar e il patriarca cristiano Sofronio, sul mito della principessa Narciso, discendente di San Pietro e madre del dodicesimo Imam. Dodici Imam musulmani come dodici apostoli cristiani. «Le due religioni sono due facce della stessa proiezione divina». L’autore cita lo sceicco della moschea di Parigi – «Le religioni sono come le automobili: l’ultimo modello è sempre il migliore» – e più parla, più riesce a somigliare al suo Mac Pharpharel, a quel diavolo colto e affabulatore. Riesce a convincere la platea.

«Non è solo un gioco di sincretismo, del volemosebbene, è un’unica ansia, quel passaggio di spiritualità raccontato sotto forma di divertimento».

Valeria Giuffrida

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