Il dialetto siciliano nelle scuole, linee guida della Regione Dai Vespri a Terra Matta. «Ma ora serve formare i docenti»

Da Terra matta di Vincenzo Rabito a I vecchi e i giovani di Luigi Pirandello, dal Gattopardo di Tomasi di Lampedusa a Il Gran Lombardo di Elio Vittorini, dalla Sicilia araba e normanno-sveva alla rivoluzione agricola fino ai latifondi e alle zolfare. Sono alcune delle linee guida della delibera di giunta guidata da Nello Musumeci, in seguito all’approvazione della legge regionale sulla promozione, valorizzazione e insegnamento della storia, della letteratura e del patrimonio linguistico siciliano nelle scuole. Gli alunni siciliani di ogni ordine e grado potranno così diventare «esploratori del proprio ambiente e ricercatori nel campo della cultura popolare». L’idea alla base è contribuire a rimuovere ogni pregiudizio sulla presunta inferiorità del dialetto. «Finora la scuola ha lavorato molto sul monolinguismo italofono – commenta a MeridioNews Marina Calogera Castiglione, docente di Linguistica italiana all’università di Palermo – Ma è arrivato il momento di attrezzarsi per non avere paura delle lingue e dei dialetti». 

Non un’ora di dialetto ma riferimenti alla lingua e alla cultura tradizionale trasversali, che attraversino l’intero arco dei saperi e delle discipline «evitando di restare ancorati – precisa il documento – a schemi meramente folkloristici». Nella fase preliminare, gli alunni sono invitati a raccogliere i dati per la produzione di un glotto-kit della classe o della scuola: proverbi, indovinelli, scioglilingua, filastrocche, canti, preghiere, fiabe, racconti, soprannomi, riti delle feste, abitudini della vita domestica, mestieri, giochi, tradizioni alimentari, storie di vita raccolte dalla memoria degli anziani. Tutto questo contribuirà alla costruzione della cassetta degli attrezzi per calibrare strategie e obiettivi didattici. 

L’obiettivo dichiarato è la «corretta formazione di una coscienza identitaria varia e multiforme», come si legge nel documento in cui si precisa che «non si tratta di costruire steccati identitari o di rispolverare anacronistici miti indipendentisti o di brandire le identità locali come armi di segregazione culturale». Le linee guida per l’attuazione consigliate dalla regione prevedono di spaziare dalla Sicilia greco-latina, con grecismi arcaici, fino ai movimenti separatistici e allo statuto autonomistico con Banditi a Partinico di Danilo Dolci. In mezzo testi siciliani del 1300 e del 1400 sui Vespri, Marianna Ucria di Dacia Maraini per la Sicilia settecentesca, la novella Libertà di Giovanni Verga per il Risorgimento, Lu trenu di lu suli di Ignazio Buttitta per la fase dell’emigrazione, Diario di un deportato di Antonio Garufi per il fascismo e la seconda guerra mondiale, ma anche cantastorie che raccontano la mafia. 

La delibera esitata dal governo prevede anche la redazione di manuali di storia della Sicilia e la creazione di un portale multimediale di storia e cultura siciliana. Strumenti utili a raccogliere materiale sull’Isola dalla preistoria a oggi con approfondimenti tematici di politica, economia, arte e cultura e percorsi di riscoperta dei protagonisti e degli eventi fondamentali della sua storia. E per le insegnanti che arrivano da oltre i confini dell’Isola, potrebbero esserci difficoltà? «Un’insegnante non siciliana – argomenta la professoressa Castiglione – è un elemento in più per confrontare sistemi linguistici e trovare le eventuali analogie; la stessa cosa vale per gli studenti stranieri presenti nelle classi. Del resto la lingua è sintesi di un patrimonio storico, monumento di idee e pratiche sociali. Il dialetto è tradizione di una storia e, quindi, più se ne hanno a disposizione e meglio è». 

Un passaggio fondamentale del testo esitato dalla giunta sta nel fatto che non si parla di lezioni di grammatica del dialetto, né l’acquisizione della lingua in sé – non è previsto che alla fine dell’anno accademico gli studenti siano in grado di parlare in siciliano – ma si fa riferimento alla variabilità del dialetto che si avverte e si percepisce sul territorio. È importante spiegare agli studenti perché, per esempio, un palermitano usa espressioni linguistiche diverse da un catanese. Per fare in modo che la legge venga applicata, serviranno innanzitutto docenti motivati e formati e strumenti didattici adeguati. «Qualunque delibera paracadutata dall’alto all’interno delle scuole sarà poco proficua, perché alla base ci deve essere una nuova sensibilità rispetto al patrimonio regionale. Per questo – afferma Castiglione – è fondamentale formare una classe docente che non lo consideri un insegnamento occasionale, uno svago, un momento di campanilismo o una perdita di tempo e che sia in grado di spogliarsi dal pregiudizio dialettofobico che ci portiamo dietro. Insomma – conclude – non si può trasformarla nell’ora di trullallero».

Marta Silvestre

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