«Resta un mistero insondabile il motivo per il quale il cinema, e soprattutto la televisione, non si siano mai occupate di Piersanti Mattarella». La sorpresa di Aurelio Grimaldi è autentica. Ed è proprio il regista e sceneggiatore siciliano che ha deciso di colmare quello che in gergo giornalistico è un vero e proprio buco, anche di memoria. Dall’11 marzo a Palermo partono le riprese del film Il delitto Mattarella, che racconterà uno dei più cruenti delitti di mafia. È il 6 gennaio 1980 quando l’allora presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella viene freddato da un sicario con otto colpi di pistola sotto gli occhi della moglie e dei figli nella centralissima via della Libertà, squarciando per sempre quella che avrebbe dovuto essere una tranquilla domenica di messa per la famiglia.
Dopo 39 anni sono stati individuati i mandanti – i boss di Cosa nostra Totò Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci – ma non gli esecutori. Anche se il collegamento della mafia nostrana con l’eversione nera nell’uccisione del politico democristiano che, come si legge nella sentenza della Corte d’appello di Palermo «voleva bloccare quel perverso circuito tra mafia e pubblica amministrazione», è sempre più netto. Partendo da quel filo, tracciato in primis da Giovanni Falcone che puntava sulla colpevolezza del killer dagli occhi di ghiaccio Giusva Fiorvavanti, Grimaldi ha tessuto la sceneggiatura del film, prodotto da Cine 1 Italia e Arancia Cinema con la partecipazione in qualità d’investitore esterno della società Edilizia Acrobatica Spa.
«Mi rendo conto – osserva Grimaldi – che la famiglia Mattarella è l’unica che ha deciso, deliberatamente e devo dire ragionatamente, di non creare una fondazione che ne ricordi la memoria. Questo però non giustifica questo strano disinteresse, anche perché la sua figura si presta comunque a una malafiction, come le chiamo io: per la sua forza morale, per il suo essere cristiano, per la sua attività di moralizzazione della pubblica amministrazione. Io cito sempre, in questo senso, il caso di Peppino Impastato: il cinema, e un film di qualità come I cento passi, ha fatto sì che la sua figura venisse ricordata. Ecco, a quel punto hanno fatto una malafiction sulla mamma di Peppino. Buon per me, comunque: mi sento privilegiato a raccontare questa storia e cercare di fare un’opera di memoria. Con ambizioni alla Francesco Rosi, per fare un film esteticamente di qualità: facile a dirsi, vedremo il risultato».
Ma c’è anche un’esigenza personale che ha spinto un autore come Grimaldi, che ha nomea di autore difficile, ad affrontare una delle pagine più dolorose della storia siciliana. Un’esigenza che parte da lontano. «Quando venne ucciso Piersanti Mattarella io vivevo a Milazzo coi miei genitori e frequentavo l’università di Messina – racconta il regista – Conoscevo pochissimo la situazione politica siciliana, ero pieno di pregiudizi (in parte giustificati) e interpretai questa notizia dell’uccisione del presidente della Regione con sufficienza: un democristiano ucciso, chissà che aveva combinato. Mi ci volle poco per capire che la mia analisi era completamente sbagliata ed è nato una sorta di senso di colpa». Un sentimento che lo accompagnerà a lungo. E «dovuto anche al fatto che durante i miei anni universitari pensavo di laurearmi in fretta per andare in Lombardia – continua Grimaldi – Invece cominciai a sicilianizzarmi e decidere di restare qui. La somma di tutto ciò fu un archivio sul caso Mattarella che cominciai a raccogliere. Come se mi sentissi in dovere nei confronti della mia coscienza. Intanto gli anni passavano e questa cartelletta è diventata una scatolone di documenti».
Fondamentale poi per la decisione di far diventare quegli appunti un’opera completa è l’elezione a presidente della Repubblica di Sergio Mattarella, fratello minore di Piersanti. «Appena è salito al Quirinale nel 2015 ho pensato che era strano che nessuno ne cogliesse l’occasione per fare almeno una malafiction. Mi misi dunque subito al lavoro, con il materiale che era già pronto e un’impronta segnata. Nel giro di tre mesi scrissi una bozza di sceneggiatura e cominciai a cercare un produttore». Il cast del film è tutto siciliano ed è composta da Leo Gullotta, Nino Frassica, Tuccio Musumeci, Pino Caruso, Pippo Pattavina, Toni Sperandeo, Donatella Finocchiaro, Lucia Sardo e Guia Jelo. Anche le comparse saranno esclusivamente abitanti dell’Isola. Come mai questa scelta?
«Per me è stato sempre piuttosto irritante che la Sicilia sia stata raccontata da tantissimi continentali utilizzando sistematicamente attori non siciliani – osserva il regista – Nonostante la nostra Regione in questo senso possa vantare professionisti eccezionali. Io ho sempre affettuosamente contestato il fatto che l’attore romano Luca Zingaretti abbia interpretato il commissario Montalbano. Non sono d’accordo con chi dice che nel frattempo è migliorata la sua pronuncia. A me quel Montalbano sono non ha mai entusiasmato. Secondo me quella che in ogni caso è una serie fortunatissima e venduta ovunque nel mondo sarebbe venuta ancora migliore se i primi tre ruoli, affidati a non siciliani, fossero stati affidati invece ad attori siciliani».
C’è molta attesa, dunque, per un film che sicuramente farà discutere. Anche perché tra i personaggi ci sono figure significative della storia recente e attuale italiana: non solo Sergio Mattarella ma anche l’ex presidente del Senato Pietro Grasso, che quel 6 gennaio 1980 era un giovane pm di turno e quindi titolare delle iniziali indagini sull’omicidio. E ancora politici discussi come Vito Ciancimino o mafiosi come Stefano Bontade. Sulla pellicola al momento non c’è un parere ufficiale del presidente della Repubblica. «È giusto che un servitore dello Stato come Sergio Mattarella non sia intervenuto – dice infine Grimaldi – Noi stiamo lavorando a un film su una figura storica e, finché l’opera non è finita, apprezziamo il suo silenzio. Sentiamo comunque un grande interesse attorno a noi e speriamo che questo aiuti il film».
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