Il Centro Impastato festeggia 40 anni di attività «Protagonista nella lotta per verità e memoria»

«Fin dall’81 abbiamo lavorato nelle scuole, abbiamo fatto comizi e seminari. Ma l’attività è stata ed è ancora lunga, siamo stati noi, per esempio, i primi a proporre un uso sociale per le case confiscate ai mafiosi». Sono tanti i traguardi che Umberto Santino ha ricordato questa mattina a Cinisi in occasione dei 40 anni del Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, sino alle ultime sfide, quelle più recenti, per aiutare le donne vittima di tratta o per risalire agli autori del depistaggio nelle indagini sulla morte di Peppino. Il Centro, il primo in Italia sorto per indagare, documentare e combattere la mafia, viene fondato nel ’77 proprio da Santino e Anna Puglisi, e si costituisce come associazione culturale nel maggio 1980, con l’intitolazione all’attivista ucciso da Cosa nostra solo due anni prima. Da quarant’anni si pone lo scopo di sviluppare la conoscenza del fenomeno mafioso, di diffondere una cultura della legalità, conducendo anche studi e ricerche.

Alle spalle di Santino, c’è la storia del Centro allestita per immagini dagli artisti Paolo Chirco e Pino Manzella, quest’ultimo tra i principali ispiratori del Circolo Musica e Cultura di Cinisi. «Sappiamo che Peppino era presente ad alcune nostre iniziative, ma abbiamo scoperto che era nato in una famiglia mafiosa solo dopo – racconta Santino – Quindi non possiamo definirci, io e Anna, fondatori del Centro in quanto compagni di Peppino. Tra i vari gruppi di sinistra, come accade da sempre, non c’era molto dialogo». Seduto al suo fianco c’è Giovanni Impastato, che prende la parola per raccontare la genesi del suo ultimo libro dedicato al dopo-Peppino. Si intitola Oltre i cento passi, edito da Piemme e nelle librerie dal 2 maggio: l’intento è proprio quello di raccontare l’eredità del fratello ucciso dalla mafia e i quarant’anni trascorsi in prima linea nella lotta alla mafia. «Dobbiamo imparare a porci in un certo modo, a portare avanti le idee di Peppino ricordandoci soprattutto della sua coerenza», esordisce.

«Quando tutto sembrava crollarci addosso, a me e a mia madre, non c’era nemmeno una persona che ci dava ragione», racconta Giovanni. Gli unici a schierarsi dalla loro parte sin dall’inizio sono i giornalisti di Lotta continua, che intitolano la notizia della sua morte «Assassinato dalla mafia il compagno Peppino Impastato», quasi ponendo in secondo piano l’altra tragica notizia di quel 9 maggio, l’omicidio di Aldo Moro e il ritrovamento del suo corpo dentro il portabagagli della Renault rossa posteggiata in via Caetani a Roma. «Lì ho capito che si poteva fare qualcosa – dice il fratello di Peppino – Subito dopo c’è stato l’impatto dei funerali, quel pugno chiuso e sollevato in alto, le reazioni e le partecipazioni ci hanno incoraggiato molto». E poi l’incontro con il Centro, che ancora non era dedicato a Peppino. «Sono già passati 40 anni ma non li dimostra, anzi sono pochi rispetto a quello che possiamo ancora fare», continua Giovanni.

E anche per lui inizia il momento dei ricordi: il primo incontro con Santino, le prime indagini dei carabinieri, gli interrogatori, i pedinamenti da parte dei servizi segreti, le incursioni in casa. «E poi nell’80 l’intitolazione a Peppino, quello è stato davvero un grande regalo – dice ancora Giovanni – Il Centro è stato un grande protagonista, insieme agli amici storici, in questi anni di lotta per la verità e per la memoria». Quest’ultima per niente scontata, soprattutto fra quelli che furono i concittadini di Impastato. «Cinisi è piena di edicole votive, sono tutte state fatte da mafiosi, in una c’è anche una targa in ottone dedicata a Procopio Di Maggio risalente agli anni ’50, però non è vero che lo abbiamo festeggiato per i 100 anni, sono stati solo i suoi familiari – racconta Pino Manzella – Mentre nella scritta in omaggio ai caduti nella lotta alla mafia sono state tolte, un po’ per volta, alcune lettere tanto che a un certo punto la parola mafia era diventata afa, fino a che non è rimasto proprio più niente. Tutto questo fa parte delle contraddizioni di questo paese, ma nel nostro piccolo continuiamo a fare tutto quello che possiamo».

Silvia Buffa

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