Il Catania e l’arte di perdere in trasferta La sconfitta di Livorno è un capolavoro

E sia pure: se ti presenti a una trasferta difficile, com’era difficile quella di oggi a Livorno, con un paio di difensori tenuti in piedi con lo spago; con un esordiente di diciott’anni a centrocampo; con il generoso ma grezzo Çani incaricato, in attacco, di non lasciar solo Calaiò; se ti presenti a una trasferta così con Rinaudo squalificato, con l’infortunio di Almirón che arriva puntuale come una cambiale, con Chrapek di nuovo in campo da titolare dopo un lungo periodo in panchina per scelta tecnica, con Martinho appena recuperato ma costretto ad accelerare come se fosse nel pieno della forma – allora è chiaro che metti in conto, questa partita, di poterla anche perdere. Se poi prendi gol alla prima azione d’attacco del Livorno, con una carambola crudele del pallone che prima sbatte sul palo e poi va a pescare un avversario solo davanti alla porta spalancata – allora vedi chiaro che la sconfitta è l’esito naturale di questa partita, e tutto sommato, perlomeno, ti ci rassegni.

Senonché poi succede che l’esordiente di diciott’anni, Odjer, si dimostra uno dei giocatori più lucidi e spigliati di cui oggi disponga il Catania; che Martinho, sulla fascia sinistra, fa impazzire il difensore incaricato di contenerlo; che Chrapek – proprio il Chrapek che sabato scorso contro il Bologna era stato sommerso di fischi per avere più volte sbagliato mira delle parti del portiere avversario – indovina il tiro in mischia che permette al Catania di chiudere il primo tempo in parità. Succede inoltre che Frison tiene in corsa la squadra con una parata magnifica, nel primo tempo, su tiro secco e potente di Vantaggiato scagliato dal centro dell’area. E succede perfino che – benché si infortunino uno dietro l’altro Capuano, Martinho e Rosina – nella ripresa Çani, proprio il Çani che un po’ tutti, finora, abbiamo giudicato così inadeguato alle ambizioni della nostra squadra, si fa mezzo campo palla al piede e cade in area al contatto con un difensore avversario. Succede che l’arbitro vede il rigore – per nostra buona fortuna, perché io onestamente non l’ho visto – e che Calaiò, questo rigore, lo segna con glaciale sicurezza, guadagnandoci un vantaggio insperato, e perciò tanto più prezioso.

E a questo punto, quando il più sembra ormai fatto, quando una qualsiasi altra squadra si esalterebbe al profumo d’una vittoria ormai vicina, stringerebbe i denti sul coltello, si arroccherebbe disperatamente in difesa della propria porta; proprio a questo punto succede che il portiere Frison – lo stesso Frison di cui sette giorni fa celebravamo la miglior prestazione da quando veste la maglia del Catania – anziché esaltarsi nella mischia come chiunque si aspetterebbe, si concede una spensierata vacanza su un innocuo e sgangherato tiro dal limite. Il quale va a rimbalzare in fondo alla porta, dalle parti dell’angolo alto, mentre lui si produce in un tuffo inspiegabile, ruzzolando a terra con un capitombolo goffo e indipendente dalla traiettoria della palla. E succede che da quel momento il Livorno, quasi che quel gol balordo avesse rotto un maligno incantesimo, nel giro di un minuto  a questo gol ne aggiunge un altro, portandosi subito in vantaggio; e un altro ancora ne segna dieci minuti dopo, ribaltando così la probabile sconfitta in una vittoria, addirittura, larga. Sicché la partita finisce come eravamo rassegnati da principio a vederla finire; con la sottile differenza che – avendo visto tutto ciò di cui si è detto – noi c’eravamo intanto scordati di esserci rassegnati, stavamo già calcolando quante cose sarebbero cambiate con la prima vittoria esterna ed eravamo ricaduti, insomma, nelle dolci e crudeli insidie della speranza. Come continuiamo a fare ogni sabato che Dio manda in terra, a dispetto della messe imponente di smentite ricevute quest’anno dalla realtà.

Questo è quanto. La classifica – guardatela voi stessi – dice che, con un punto in meno dei venti che ha, il Catania dovrebbe giocare gli spareggi per non andare in serie C. Sono i giorni in cui a uno, veramente, vien da chiedersi chi glielo fa fare, a passare così i propri pomeriggi del sabato. Sono i giorni in cui, quasi quasi, uno riesce a capire cosa deve significare, per chi lo è, essere tifoso dell’Inter.

Claudio Spagnolo

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