Il ‘caso’ Lombardo e la questione morale

In questi giorni abbiamo letto tanti puntuali e dotti ‘ragionamenti’ sulla vicenda giudiziaria che coinvolge il presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, e il fratello Angelo, parlamentare nazionale della nostra Repubblica. Proviamo a riassumere questa storia. Per vedere cosa ne pensano i nostri lettori. Magari per aprire un dibattito sul nostro giornale.

Il Giudice per le udienze preliminari (Gup) ha fissato per il prossimo 9 maggio l’udienza per stabilire se il presidente Lombardo e suo fratello Angelo debbano essere rinviati a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa e per voto di scambio con la mafia, oppure se debbano essere prosciolti da tali imputazioni.

A questo epilogo si è arrivati dopo un’indagine travagliata e complessa. Con un procuratore della Repubblica facente funzioni che aveva chiesto l’archiviazione. E con un Gip (Giudice per le indagini preliminari) che ha invece disposto, per Lombardo e suo fratello, l’imputazione coatta.

La parola, adesso, passa al già citato Gup. La decisione del Gup non sarà, come dire?, velocissima. Questo giudice, infatti, dovrà leggersi le circa 70 mila pagine dell’inchiesta ‘Iblis’ (questo il nome dell’inchiesta che coinvolge, tra gli altri, il presidente della Regione e il fratello). A quanto abbiamo letto sui vari giornali, è probabile che la decisione del Giudice per le udienze preliminari arrivi intorno a settembre-ottobre.

Stando sempre a quanto abbiamo letto sui giornali, il presidente della Regione Lombardo avrebbe valutato la possibilità di chiedere il rito abbreviato. Cosa, questa, che è stata smentita dallo stesso Lombardo qualche giorno fa. “Non è vero – ha dichiarato Lombardo – che voglio chiedere il rito abbreviato. Non mi fate dire cose che non ho detto”.

Le cronache ci informano che, il 24 aprile, il presidente della Regione parlerà della propria vicenda giudiziaria in una seduta dell’Assemblea regionale siciliana. Dove, così abbiamo letto sui giornali, si giocherà la sua carta più importante: e cioè il fatto di non aver mai favorito la mafia, se è vero che non risulta da alcuna parte che Lombardo abbia favorito gli uomini di ‘cosa nostra’. I boss – abbiamo sempre letto sui giornali – erano piuttosto infastiditi e accusavano l’attuale presidente della Regione di avere loro voltato loro le spalle.

A questo punto, cominciano le domande. Il cronista di punta de La Sicilia di Catania, Toni Zermo, a proposito della vicenda giudiziaria che coinvolge Lombardo, scrive: “Ammesso e non concesso che abbia incontrato dei mafiosi per sollecitare il loro voto, ma senza contraccambiare favori, che fattispecie di reato si può configurare? E’ concorso esterno in associazione mafiosa? Oppure è reato elettorale? E, in questo caso, è reato semplice oppure aggravato?”.

Inevitabile citare la sentenza della Cassazione che ha assolto l’onorevole Calogero Mannino dalle accuse di concorso esterno in associazione mafiosa. In base a tale sentenza un imputato per concorso esterno in associazione mafiosa può essere condannato solo se viene provato lo scambio di favori e, di conseguenza, un apporto significativo in termini di rafforzamento della stessa organizzazione chiamata mafia.

Dunque, il solo fatto di avere chiesto voti ai mafiosi, senza avere dato alcunché in cambio, non sarebbe un reato. Ci sarebbe una responsabilità morale, ma non penale. Anche se c’è chi sostiene – come l’avvocato penalista Carlo Federico Grosso, ordinario di Diritto penale, già vice presidente del Consiglio superiore della magistratura (Csm) difensore dello stesso Mannino in Cassazione – che il solo fatto di chiedere voti alla mafia ne accresce il prestigio.

Questi i fatti. Adesso qualche domanda vorremmo porla, in primo luogo, ai nostri lettori e poi, anche, alla politica siciliana. Le prime domande riguardano il dibattito previsto a Sala d’Ercole il prossimo 24 aprile. Perché mai il parlamento siciliano dovrebbe occuparsi di fatti personali del presidente della Regione, se è vero che i fatti penali sono, per l’appunto, personali? E poi: non si era detto che le Istituzioni avrebbero dovuto essere salvaguardate? Ma così facendo le Istituzioni, a rigor di logica, vengono coinvolte in questa bruttisima storia.

E ancora: questo dibattito d’Aula prelude alle dimissioni del presidente della Regione? O, invece, dopo il dibattito, il governo andrà avanti fino al pronunciamento del Gup?

Le nostre domande non sono oziose. Tutti sappiamo che il Giudice per le udienze preliminari potrebbe anche decidere per il non rinvio a giudizio. Ma, al di là del pronunciamento del Gup su tale fatto specifico, alcuni principi generali ci lasciano perplessi. E’ un problema o no che uomini politici che ricoprono cariche importanti incontrino certi personaggi? Esiste ancora la questione morale, o il solo fatto di chiedere voti ai mafiosi, senza contraccambio (visto che la Giustizia non riesce a provarlo) rende lecita e ‘morale’ tale richiesta?

Poniamo queste domande perché il prossimo 30 aprile ricorrerà il trentesimo anniversario dell’omicidio di Pio La Torre. Al sacrificio di Pio La Torre, esponente di spicco del Pci siciliano, si deve la legge dello Stato che ha consentito la confisca dei beni alla mafia.

Chiediamo e ci chiediamo: il Pd siciliano, che è l’erede, in buona parte, del Pci, il prossimo 30 aprile ricorderà La Torre con una parte dei propri dirigenti ‘stretti’ intorno all’attuale governo regionale?

Cosa ne pensano i nostri lettori di tutta questa storia?

 

 

 

 

Giulio Ambrosetti

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