«Siamo incastrati tra l’abusivismo e l’immobilismo della burocrazia». La denuncia arriva a MeridioNews da Edoardo Barbarossa, il presidente della fondazione Èbbene che da mesi denuncia l’occupazione abusiva di un alloggio di transizione in via Casagrandi, nel quartiere Cibali, da parte di una famiglia catanese composta da sei persone, i genitori e quattro figli maschi tutti maggiorenni. «Abbiamo provato a cercare un confronto – lamenta Barbarossa – che però si è concluso con gravi e pesanti minacce nei nostri confronti e le ruote dell’auto di un operatore tagliate». L’unica soluzione che si prospetta all’orizzonte per la fondazione, che in città si occupa di accompagnare persone fragili in un percorso di autonomia, sarebbe «un procedimento civile per occupazione abusiva che, però – fa notare Barbarossa, che si è già confrontato con un avvocato – durerebbe anni e sarebbe dispendiosa».
Ma facciamo un passo indietro. È il marzo del 2020 quando gli operatori dell’unità di strada Mosaico – il centro di prossimità della fondazione Èbbene – intercettano il bisogno abitativo di un nucleo familiare che «dopo un presunto debito – ricostruiscono gli operatori – aveva dovuto lasciare la propria casa». Per i genitori e due figli viene trovata la sistemazione negli alloggi di via Stazzone, mentre altri due figli entrano nell’appartamento in via Casagrandi. Non solo un tetto sopra la testa ma anche un progetto – Habito, sostenuto dai fondi del Pon Metro – con cui la fondazione mette in campo un percorso di inclusione sociale e lavorativa che possa portare all’autonomia delle persone. «Per loro gli operatori si sono occupati di sostegno educativo e culturale per i figli – dicono dalla fondazione – con corsi di alfabetizzazione e bilancio di competenze; e di accompagnamento e cura per i genitori, specie per la madre che soffre di attacchi di panico».
Un percorso simile a quello di tanti altri nuclei accolti da Èbbene negli alloggi di transizione. «Con un epilogo, però, che non ci saremmo mai aspettati – spiegano dalla fondazione – Atti di razzismo nei confronti dei ragazzi stranieri che abitano nell’appartamento accanto e sono inseriti in un percorso di semiautonomia, danneggiamenti e incendi dentro casa e diversi episodi di minacce». Alla scadenza, il contratto non viene rinnovato per l’intero nucleo. «Per loro abbiamo trovato una soluzione in affitto ma – ricostruisce il presidente – quando, dopo qualche giorno, siamo andati nell’appartamento in via Casagrandi per l’inserimento di un’altra famiglia a cui spetterebbe viverci, lo abbiamo trovato occupato dall’intero nucleo». Madre, padre e i quattro figli adulti che «hanno perfino cambiato la serratura e riattaccato le utenze che avevamo staccato – continua Barbarossa – Abbiamo denunciato tutto sia agli organi giudiziari che al Comune ma pare che non si possa fare nulla se non attendere l’ordinanza di un giudice che, dopo un procedimento civile lungo e dispendioso, intimi di lasciare la casa».
Facendo un parallelismo con la storia di Ennio, l’anziano cardiopatico che a Roma ha dovuto lottare 20 giorni per poter rientrare in casa sua dopo averla trovata occupata al ritorno da una visita medica, dalla fondazione lamentano «l’assurdità del fatto che non esista una legge unica che tuteli chi trova la propria casa invasa. Continueremo la nostra battaglia – conclude Barbarossa – con la speranza che diventi una missione condivisa il più possibile».
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