Il carcere tra celle lisce, isolamento punitivo e suicidi «Per chi soffre di disturbi psichiatrici solo ansiolitici»

Sulla carta dovrebbero essere i posti più sicuri al mondo, perché lì dentro sei letteralmente nelle mani dello Stato. Certo, pur sempre recluso e, almeno in teoria, con lo scopo della rieducazione. Ma non è una novità che il carcere sia anche un luogo pieno di misteri, in un certo senso. Un luogo dove non si sa bene fino in fondo cosa accada fra le sue mura, dietro le sue sbarre. In soli sei mesi sono circa 2.100 gli eventi critici che sarebbero accaduti nei soli istituti di pena siciliani, raccolti nel dossier del sindacato di polizia penitenziaria Uilpa. Tra tutti, spicca il Pagliarelli, dove si registrano alcune delle «situazioni peggiori». E sotto parecchi punti di vista. A visitarlo proprio di recente è stato Pino Apprendi per conto di Antigone Sicilia, l’associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale nata alla fine degli anni Ottanta, che periodicamente effettua delle visite proprio dentro le carceri.

«In tutte le visite fatte in carcere ci segnalano le lunghe attese per accedere a una visita specialistica o ad un medicinale importante – spiega Pino Apprendi -, stiamo conducendo un’indagine per sapere quanti sono gli ammalati di diabete di tipo 1 che potrebbero avere bisogno della macchinetta permanente che potrebbe salvare loro la vita. Sono questi gli argomenti centrali per chi è detenuto. Argomenti che, spesso, sono motivo di suicidio in carcere e che ci pongono tanti interrogativi, proprio in assenza di un’adeguata risposta, malgrado tutte le denunce del caso e i protocolli di buone intenzioni», denuncia senza mezzi termini. «Ben il 30 per cento della popolazione carceraria soffre di disturbi psichiatrici, molti dei quali spesso generati da quanto accaduto in carcere e la risposta dell’amministrazione penitenziaria e della Regione non va oltre la somministrazione di ansiolitici e di qualche consulenza psichiatrica».

Per quelli, poi, che vengono definiti incapaci d’intendere e di volere e che nella sentenza di pena sono destinati ai Rems, i moderni sostituti degli ospedali psichiatrici giudiziari pensati per la riabilitazione, «non c’è speranza» a detta di Apprendi. «Proprio martedì scorso sono stato al carcere di Pagliarelli e ho avvicinato un giovanissimo extracomunitario, che mi ha mostrato la sentenza che conteneva gli elementi che ho elencato prima – racconta -. Quel ragazzo, quelle persone con queste diagnosi devono uscire dal carcere, devono trovare posto in strutture alternative, anche sperimentali». Quando questo non avviene, le conseguenze, come di fatto emerge da relazioni, dossier e denunce di associazioni e sindacati, possono essere tragiche. «I suicidi al Pagliarelli sono stati sei dal 2015 su circa 1500 persone detenute – spiega -. Quando diffondiamo numeri di suicidi, dobbiamo pensare che dietro ogni numero c’è una persona, ci sono famiglie, sentimenti e storie e lo Stato ha responsabilità sulle persone che ha preso in affido».

Mentre fuori ci sono madri, mogli, figli che aspettano quel fine pena che, di fatto, non arriva mai. «L’isolamento punitivo, poi, è una vera e propria tortura – rincara la dose Apprendi -. Si va in isolamento punitivo anche semplicemente per uno sguardo non benevolo, per un contrasto con il compagno di cella. E la cosiddetta cella liscia è spesso propedeutica al suicidio». Una stanza, cioè, completamente vuota, senza mobili, senza letto, senza maniglie, tubi o qualsiasi altro oggetto che possa essere utilizzato in qualsiasi modo. Nessun appiglio, insomma, né fisico né mentale. «Caldo rovente d’estate e freddo glaciale d’inverno, spesso nudi, senza finestre o con una fioca luce nel tetto e il blindo chiuso, ci sono dieci giorni per fare il “processino” disciplinare e spesso si arriva all’ultimo giorno…guarda caso. Proprio gli ultimi tre casi di suicidio al Pagliarelli sono avvenuti dopo che queste persone provenivano dall’isolamento. L’ultimo è avvenuto il 5 novembre 2018, un giovane di 28 anni si è tolto la vita all’interno di una cella liscia. Un caso, come altri, in cui si conoscevano le sue intenzioni di volersi suicidare, avrebbe dovuto avere la sorveglianza a vista».

«Qui – torna a dire Apprendi -, dovremmo cominciare a parlare di cosa succede in carcere. Non sempre la Costituzione si afferma lì dentro. Purtroppo sugli avvenimenti negativi prevale l’omertà. Trapelano pochissime notizie, per paura di ritorsioni o per convenienza». In questo momento sono 1.353 i detenuti totali al Pagliarelli, ma dovrebbero essere invece circa 171 in meno per essere a norma, di questi 233 sono stranieri. Lo scorso agosto circa 300 persone, tra dirigenti e militanti del Partito Radicale insieme all’Osservatorio delle camere penali italiane, a diversi parlamentari e ai garanti delle persone detenute, hanno visitato numerosi istituti di pena, compreso quello palermitano. Visite in seguito alle quali domandano ai ministri di riferimento, tra le altre cose, «quali provvedimenti di competenza intendano adottare per riportare la legalità nel carcere di Palermo Pagliarelli e per porre fine ai trattamenti disumani e degradanti ai quali sono oggigiorno sottoposti i detenuti; quali iniziative intendano intraprendere per fronteggiare la gravissima situazione sanitaria; quali iniziative intendano assumere affinché venga garantito il diritto alla salute dei detenuti, considerata la presenza di un così alto numero di casi psichiatrici e di tossicodipendenti».

«Proprio in questa direzione – prosegue Apprendi – stiamo pensando a un progetto che metta a disposizione un numero di telefono a cui possano rivolgersi ex detenuti e loro familiari per denunciare atti di violenza in carcere. Lo scorso anno si sono consumati quasi 10.500 atti di autolesionismo, 1198 casi di tentativi di suicidio, 7700 casi di colluttazioni, 1159 ferimenti. Mancano ben 5770 agenti nell’organico della polizia penitenziaria. La rabbia e il disagio sfogano in violenza e suicidi, il malessere sta al di là e al di qua delle sbarre. Se dall’inizio dell’anno ci sono stati 36 suicidi di detenuti e 10 suicidi di agenti della penitenziaria nelle varie carceri, un motivo ci sarà. Possiamo affermare senza timore di smentita che c’è una emergenza carceri. Perché lì detenuti e poliziotti si tolgono la vita».

A non passarsela bene, insomma, ci sono anche gli addetti ai lavori. «Non ci può essere alcun trattamento senza sicurezza. Gli eventi critici e le aggressioni al personale sono aumentate, il buonismo evidentemente non paga. Come premio per come trattiamo i detenuti meritevoli spesso prendiamo le bastonate», spiega anche Gioacchino Veneziano, segretario generale della Uilpa polizia penitenziaria Sicilia. Il Pagliarelli è il più grande carcere siciliano, nonché quello con la maggiore popolazione carceraria in Italia: attivo dal 1995, ha 734 celle suddivise in tre padiglioni, dove – ostaggio dell’onnipresente spettro della carenza di organico – gli agenti si cimentano in una vigilanza dinamica, che supplisce alla mancanza fisica di agenti di custodia avvalendosi di tecnologie e sistemi di videosorveglianza. Dovesse accadere un episodio critico al primo piano del carcere mentre l’agente di turno si trova al terzo sarebbero sue tutte le eventuali responsabilità. Circostanza rispetto alla quale i sindacati chiedono la deresponsabilizzazione degli agenti. Sullo sfondo di uno scenario di violenze, fisiche e psicologiche, contro gli addetti ai lavori o ai detenuti, ci sono anche altre criticità di natura ben diversa.

Tre visite a sorpresa al Pagliarelli nel 2017, effettuate per verificare le condizioni della struttura e per parlare coi detenuti, fanno emergere alcuni particolari, riportati nella relazione al Parlamento del 2018 del Garante Nazionale dei diritti dei detenuti. Si parla di «fenomeni di umidità per infiltrazione dovuta essenzialmente a insufficiente manutenzione degli stessi; la difficoltà di garantire con continuità il funzionamento delle docce con acqua calda e la mancanza o insufficienza di riscaldamento; sul versante poi dei servizi – si legge -, non sempre il Servizio sanitario risulta soddisfacente, specie sotto il profilo dei tempi lunghi necessari, in molti casi, per ottenere visite specialistiche o altri interventi sanitari esterni». «Discariche sociali», sintetizza provocatoriamente il sindacato nel recente dossier diffuso da Uilpa.

«In generale buona parte delle carceri siciliane sono disastrose – dice subito anche Rita Bernardini, membro del Consiglio Generale del Partito Radicale -, i trattamenti disumani e degradanti consistono negli ambienti in cui vivono, nel non ricevere cure, nel rimanere per ore e ore senza fare niente, senza svolgere alcuna attività, lontani dalle famiglie. Uno stato in generale di quasi abbandono. E molti di questi sono in attesa di giudizio. Altri sono veri e propri casi psichiatrici, ma in Sicilia le Rems sono pochissime, assolutamente insufficienti. Perciò negli istituti si trovano persone che non dovrebbero stare in carcere. I casi psichiatrici sono diffusissimi, ma i medici assolutamente insufficiente, specie gli psichiatri». Al Pagliarelli, per esempio, ci sono in servizio 11 psicologi. Mentre, nel dettaglio, fino ad agosto erano 151 i detenuti tossicodipendenti, 30 quelli in terapia metadonica e quattro quelli sieropositivi, mentre erano 51 quelli affetti da epatite C. Tutti soggetti per cui difficilmente esiste un percorso preferenziale da seguire, in termini di cure sanitarie.

«A.G. ci mostra il piede dove una placca di metallo è fuoriuscita (impressionante). Prova molto dolore per il quale gli danno bustine di Ketoprofene 80 mg, è affetto anche da Epatite e si lamenta per la mancanza di cure – si legge in una delle numerose interrogazioni parlamentari dopo la visita di agosto al Pagliarelli -. Per A.V. ci hanno messo un anno e due mesi per fargli una tac all’orecchio da operare. Sembra che alla matricola si siano persi la tac. Accusa forti dolori alla testa trattati con bustine di Aulin». E così via. Intanto, proprio le interrogazioni parlamentari sono uno dei pochi strumenti che davvero può rivelarsi efficace per ottenere qualcosa. «Solo così abbiamo fatto in modo che sparisse una vecchia sezione dell’Ucciardone che chiamano canile, o quella denominata sosta nel carcere di Messina dove le celle avevano sei letti a castello ed erano piene di topi», racconta Bernardini.

Silvia Buffa

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