Cronaca

Il cambiamento climatico stronca l’agricoltura. «L’impennata dei prezzi? Non è speculazione, mancano i prodotti»

Non sono solo i trattori sulla Palermo-Sciacca e le proteste di tutto il comparto a indicare che l’agricoltura siciliana si trova in un momento di fortissima crisi. Per capirlo basta guardare fuori dalla finestra. Il 2023 ha fatto registrare temperature in media di 1,15 gradi superiori rispetto alla media del decennio precedente, che pure non era stato dei più freddi e questo ha influito su tutto il settore. Se poi ci si aggiunge il calo del 14 per cento delle precipitazioni, ecco che l’emergenza è servita, basti pensare che negli invasi siciliani – secondo dati dell’Autorità di bacino – al momento c’è un debito di 63 milioni di metri cubi d’acqua rispetto a un anno fa.

Dalla viticoltura alle coltivazioni di cereali, che più di altre hanno sofferto la mancanza d’acqua, tantissimi sono i settori in sofferenza e queste avvisaglie di primavera anticipata rischiano di dare un ulteriore colpo di grazia, con le piante che anticipano la fioritura e rischiano di soccombere ai primi freddi, mandando a monte l’intero ciclo naturale. E questo non solo mette in ginocchio il settore agricolo, ma influisce anche sulla spesa dei cittadini, che vista la carenza di prodotto, si trovano a dovere pagare prezzi sempre più alti, a patto ovviamente di trovare ciò che cercano tra i banchi dei loro negozi di fiducia. È il caso, giusto per fare un esempio, dell’olio, che a causa del cambiamento climatico che ha travolto tutto il bacino del Mediterraneo, il mare che ha subito un riscaldamento maggiore delle sue acque, secondo uno studio congiunto dei centri oceanografici di tutto il mondo.

«L’aumento dei prezzi non è speculazione, ma frutto di un problema – dice a MeridioNews Mario Terrasi, presidente del consorzio dell’olio Igp siciliano – Nel mondo ogni anno si consumano tre milioni di tonnellate di olio e di queste il 60 per cento viene dalla Spagna. Anche quest’anno, per via del cambiamento climatico, in Spagna la produzione non è andata oltre le 700mila tonnellate. Siamo di fronte a una carenza del prodotto, che si è registrata anche in Grecia e in Nordafrica, dove addirittura è stato bloccato l’export a causa del calo della produzione. Per questo da settembre notiamo la diminuzione degli oli civetta a buon mercato dagli scaffali dei supermercati, perché gli oli che provengono da questi Paesi possono rimanere a prezzi più bassi, visto che per esempio in Spagna produrre un litro d’olio costa circa 1,5 euro grazie alla forte industrializzazione del prodotto, mentre da noi in Sicilia i costi sono tra i 4,5 e i 5 euro al litro, perché le aziende sono piccole e poco meccanizzate e la manodopera per la potatura e la raccolta costa sui 90 euro al giorno. Anche quest’anno l’olio siciliano ha una qualità altissima, ma è impensabile trovare un olio Igp locale a meno di dieci euro a bottiglia e i prezzi sono anche in rialzo».

Gabriele Ruggieri

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