Dalla carne alla frutta, dai ristoranti ai supermercati, il volume d’affari delle agromafie è salito a 21,8 miliardi di euro con un balzo del 30 per cento nel 2017 e attività che riguardano l’intera filiera del cibo: produzione, trasporto, distribuzione e vendita. Il quinto rapporto realizzato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura tra le province siciliane sancisce un primato di cui il capoluogo avrebbe fatto volentieri a meno: la provincia palermitana è quella in cui l’agromafia è più presente. Palermo è al quarto posto della classifica nazionale stilata da Eurispes/Coldiretti. Seguono, tra le prime dieci, Caltanissetta e Catania, rispettivamente in settima e nona posizione. Ancora, tredicesima Agrigento e poi Messina (ventesima), Enna (ventunesima), Trapani (ventiduesima), Ragusa (ventitreesima) e Siracusa (trentesima). Coldiretti sottolinea come in Sicilia, così come in Calabria, il furto di bestiame e la macellazione clandestina di capi infetti costituiscono un business molto redditizio per la criminalità organizzata.
Nel territorio siciliano sono state rilevate inoltre massicce infiltrazioni nel mercato ortofrutticolo (dagli agrumi alla frutta fino agli ortaggi a foglia) e nella pesca. Una città suo malgrado simbolo degli interessi della criminalità che a volte vanno a braccetto con la politica è Vittoria. La cittadina del ragusano in questi anni sta comunque remando verso i valori della legalità grazie a tre funzionari dello Stato: il prefetto Filippo Dispenza, il viceprefetto Giancarlo Dionisi e il dottore Gaetano D’Erba.
E di rapporti tra mafia e colletti bianchi, passando proprio per il mercato ortofrutticolo di Vittoria, si parla nel libro Un morto ogni tanto (Solferino editore) del giornalista Paolo Borrometi. «Questo lavoro non è autobiografico – sottolinea Borrometi – è frutto di un giornalismo d’inchiesta che vuole raccontare come ad esempio un pomodorino arrivi sulle tavole degli italiani e che gli interessi della mafia non sono solo un fattore localistico. Noi abbiamo considerato le agromafie di serie B e abbiamo dato loro la possibilità di infiltrarsi in tutti i settori: dal caporalato al confezionamento, fino ai trasporti. Ed è questo quello che ho tentato di raccontare io in queste pagine».
Il direttore del giornale online La Spia si trova dal 2014 sotto scorta per via delle sue inchieste, che recentemente hanno portato a ben quattro arresti, dopo l’ennesimo progetto di omicidio nei suoi confronti (trapelato dalle intercettazioni telefoniche). È stato condannato per minacce aggravate dal metodo mafioso ad un anno e sei mesi di reclusione il boss Venerando Lauretta – ritenuto il reggente del clan mafioso Carbonaro-Dominante di Vittoria – che in passato si è scagliato proprio contro Borrometi.
«Siamo ancora qui a parlare delle mafie – sottolinea Renato Cortese, questore di Palermo – che hanno, seppur con modi diversi, una forte capacità pervasiva. Però bisogna sottolineare il fatto che le mafie riguardano tutti, non solo giornalisti o forze dell’ordine o la magistratura. Ritengo che la criminalità vada a ledere la libertà e la democrazia e non si può rimanere indifferenti. E magari una cattiva gestione da parte degli amministratori e la scarsa attenzione verso un territorio possono far accrescere il desiderio di affidarsi al mammasantissima di turno. Lo Stato deve stare vicino ai cittadini e dare delle risposte perché è da questo che passa la fiducia che l’individuo nutre nei confronti delle istituzioni, altrimenti si rischia di tornare agli anni bui». Un’analisi, quella del questore, che tiene conto di un altro aspetto che Borrometi analizza nel suo libro, ovvero quel connubio mafia-politica che porta a fenomeni quali la corruzione o il reato di voto di scambio.
«Nel mio libro – sottolinea Paolo Borrometi – affronto anche i legami tra la classe politica e la criminalità. Ormai non è la mafia che cerca la politica ma viceversa e un giornalista che non racconta non fa il suo dovere ma avrà la responsabilità di non permettere ai cittadini di decidere da che parte stare». Il trentaduenne ragusano parla del suo lavoro con tanto entusiasmo ma allo stesso tempo ammette di aver paura: «Io alle giovani generazioni consiglio di studiare esempi come Peppino Impastato o Giovanni Spampinato ma non vedendoli come eroi e soprattutto avere coraggio di scendere ogni giorno in strada, di cercare la notizia, di non aspettarla. Il più bel giornalismo – prosegue Borrometi – è quello di parlare con i cittadini per prendere la loro speranza, la loro storia e dargli voce. Io continuo ad avere paura, cammino con una spalla massacrata e torno a casa da solo spesso con delle lacrime amarissime, però mi guardo allo specchio e sono contento di aver preservato la libertà più importante che non è quella fisica ma quella di parola, di espressione e di fare semplicemente il proprio dovere».
A sostenere le inchieste del giornalista ragusano c’è anche il duo comico palermitano Ficarra e Picone, che lo hanno conosciuto attraverso i giornali. «Il lavoro di Borrometi invita a non abbassare mai la guardia – racconta Valentino Picone, attore e regista – anche in una provincia definita stupida. Noi nel nostro film La Matassa raccontiamo ad esempio di un esattore del racket al quale proprio io devo pagare il pizzo. E che faccio? Gli chiedo la fattura. Ecco, noi affrontiamo la tematica in modo ironico ma l’importante è parlarne. Tutti insieme dobbiamo remare verso un’unica direzione, quello che facciamo noi, ovvero raccontare un fenomeno sbeffeggiandolo, ha un valore, ma sicuramente non è comparabile con il coraggio e la penna di Paolo».
E sul rapporto del valore di un’informazione libera che scende in profondità degli eventi, arrivando al cuore dei cittadini, concorda anche il questore Cortese, da sempre promotore di una sinergia tra gli organi di informazione e nel caso in particolare della polizia sempre più di prossimità e vicina al cittadino. «Un Paese che debba scortare i giornalisti credo che sia inconcepibile – conclude il funzionario pubblico – dobbiamo mettere in piedi tutte le energie possibili per frenare le diverse forme di criminalità organizzata, soprattutto quelle che vogliono mettere il bavaglio alla stampa. Ritengo che ormai la libera stampa riesce a far male alla mafia, un motivo in più per combattere tutti insieme le forme di criminalità. La libertà di pensiero e di espressione sono il frutto di una società democratica e per questo vanno difese».
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