«Nell’italiano ci sono anche parole che derivano da molte altre lingue […] e dialetti: scoglio (genovese), grissino (piemontese), panettone (lombardo), lido (veneziano), scugnizzo (napoletano), mafia (siciliano)». L’accostamento oramai stantio torna a pagina 26 del testo scolastico Leggere è, edito da Mondadori. Nel focus sulle eredità linguistiche dell’italiano, dopo un elenco di termini neutri, man mano che si scende da Nord a Sud, si arriva a parole che hanno una connotazione di valore. «È vergognoso che la Sicilia e i siciliani vengano offesi in un testo scolastico», lamentano il presidente della direzione regionale del Pd Antonio Ferrante e una delle componenti Aurora Ferreri, chiedendo alla casa editrice di «ritirare immediatamente dal commercio il libro e di porgere le scuse ai siciliani».
Tra le argomentazioni esposte dai due politici c’è anche quella prettamente linguistica. Quello riportato dal libro di testo pensato per i bambini di scuola elementare sarebbe «un accostamento che di dialettale non ha proprio nulla. E una casa editrice storica e autorevole come la Mondadori – continuano – dovrebbe sapere che non è certa l’etimologia della parola che da nessuna parte viene considerato un termine dialettale. Ma anche qualora così fosse – sottolineano Ferrante e Ferreri – sarebbe altrettanto grave che venga scelto per rappresentare la Sicilia un termine che è sinonimo di dolore, morte e criminalità».
Su questo secondo punto non c’è dubbio. Sulla questione etimologica, invece, «è vero che la parola mafia arriva dalla Sicilia – precisa a MeridioNews Iride Valenti, associata di Linguistica dell’Università di Catania – e si è diffusa ovunque con una accezione negativa ma, in origine, è bene precisare che non aveva solo questa». Stando anche agli studi fatti dal professore Salvatore Trovato, ordinario di Linguistica generale all’Università di Catania, nella prima etimologia del termine proposta nelle seconda metà dell’800 mafia sarebbe stata «una retroformazione da mafioso», come si legge in Ancora su mafia, che sarebbe a sua volta «un incrocio tra marfusu (scaltrito impostore) e marfiuni (variante di marpiuni)». Un’altra origine, invece, sarebbe quella dal termine smurfiusu «che spiegherebbe il sintagma fimmina mafiusa, donna avvenente».
Quando l’italiano entra in contatto con i dialetti e prende in prestito delle parole, in termini tecnici, si parla di interferenza. «In questo caso – aggiunge Valenti – il punto di irradiazione nel sistema linguistico, con il significato di associazione a delinquere, è la Sicilia da dove si diffonde poi in molte varietà dialettali». È ancora nel testo di Trovato che si trova il riferimento a questa precisa accezione. Dopo l’utilizzo nella commedia dell’attore popolare Giuseppe Rizzotto I mafiusi di la Vicaria del 1863, due anni dopo è il prefetto di Palermo Filippo Gualterio a utilizzarla in una relazione confidenziale al ministro dell’Interno. «”La mafia esiste. Il nome solo dice associazione – riporta Trovato – Questa associazione di malfattori è numerosa, è piaga vecchia“». Da lì a qualche anno, la parola entra a fare parte della lessicografia siciliana e anche dei vocabolari siciliani.
«Nella scelta della parola per il libro di testo scolastico, in ogni caso – fa notare la linguista – c’è un vizio ideologico di fondo che può creare un’identificazione psicologica pericolosa: per il binomio con il dialetto siciliano, anche per similitudine con quelli di altre regioni, si sarebbero potuti utilizzare altri termini come per esempio cannolo o cassata». Specie per un libro da leggere nelle classi di tutta Italia. «La Sicilia – concludono Ferrante e Ferreri – merita di essere conosciuta dai bambini per le sue bellezze
e la sua storia, prima che per una piaga che non è circoscritta
solo all’interno dei confini della nostra isola».
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