Il bando per i centri commerciali naturali La Regione rischia di bruciare sei milioni

Quattordici milioni di euro per il sostegno e lo sviluppo di 85 centri commerciali naturali (Ccn) distribuiti su tutto il territorio siciliano. È la promessa del bando regionale uscito in Gazzetta ufficiale numero 54, il 30 dicembre del 2011, promosso dall’assessorato regionale alle Attività produttive. Questa è, in realtà, la storia dell’ennesimo flusso di denaro proveniente dalla comunità europea e che tornerà a Bruxelles senza essere investito per irregolarità di entrambe le parti in causa.

Su 14 milioni, infatti, almeno sei molto probabilmente torneranno indietro senza essere impiegati per un problema di inammissibilità relativa ai metodi di pagamento adottati dai consorziati. Il pomo della discordia è rappresentato dalla legge antimafia numero 136, che norma la tracciabilità dei flussi di denaro attraverso la scelta dei metodi di pagamento. Come la stragrande maggioranza dei bandi pubblici, il rimborso alle imprese o agli individui viene fatto a posteriori, mediante la presentazione da parte del soggetto vincitore di ricevute e fatture. Il bando in questione ripagherebbe solo il 50 per cento delle spese sostenute dai Ccn solo tramite bonifico bancario. Molti consorzi – centinaia di negozi tra Palermo, Catania, Ragusa -, invece, hanno effettuato i pagamenti con assegno bancario e adesso l’Assessorato non ha nessuna intenzione di liquidare i fondi stanziati. 

La questione sarebbe chiara e lineare se non si fosse venuti a conoscenza di eccezioni alla legge 136 da parte dell’amministrazione regionale, a favore di altri settori coinvolti in bandi pubblici. Eccezioni rintracciabili facilmente nella Gazzetta ufficiale della Regione. In quei casi, l’assessorato alle Attività produttive non ha avuto grossi dubbi sull’apportare o meno modifiche rispetto all’ammissibilità di assegni bancari. Si tratta di bandi che coinvolgevano imprese artigiane (misura 5.1.3.1, vedi Gazzetta dello scorso 17 ottobre), o ancora per l’agevolazione di imprese costituite da giovani o da donne (misura 5.1.3.4), o ancora proprio per la costituzione di nuove imprese (misura 5.1.3.5, vedi Gazzetta del 4 aprile 2014). La modifica apportata ai bandi riporta esattamente queste parole: «Ai fini dell’ammissibilità delle spese, onde consentire la tracciabilità dei pagamenti di spesa rendicontati, gli stessi devono essere regolati esclusivamente a mezzo bonifico bancario, assegno circolare non trasferibile o assegno bancario, se tratto su conto corrente dedicato».

«È evidente che qualcosa qui non funziona – denuncia Domenico Ferraguto, presidente del centro commerciale naturale di via Etnea a Catania -. Perché la modifica in passato è stata fatta più volte e nel nostro caso, invece, non rispondono neanche al telefono? Abbiamo mandato lettere con Pec, chiamato e cercato di ottenere un chiarimento dall’assessorato, ma non ci hanno mai risposto. A prescindere dalla questione degli assegni, incresciosa senza dubbio, mi chiedo se sia normale che di un bando del 2011 non sia stato ancora liquidato un centesimo. Io stesso – continua Ferraguto – ho pagato solo con bonifico, ma non ho ricevuto nessun rimborso». Sulla stessa linea è Carla Garamella, presidentessa del consorzio di Terrasini, in provincia di Palermo, che chiede a gran voce un incontro con l’assessore Linda Vancheri, per avere finalmente, dopo più di due anni, una risposta definitiva: «La cosa assurda è che nel frattempo molti negozi con i quali si era costituito il centro commerciale sono falliti o hanno deciso di chiudere».

Neanche a Meridionews.it l’assessore regionale o il responsabile Roberto Rizzo hanno rilasciato una dichiarazione, nonostante le numerose chiamate. «Se gli imprenditori fanno determinati investimenti o si partecipa a dei bandi pubblici è anche per lo sviluppo del territorio e della propria città – conclude il presidente del consorzio catanese -. Ma in queste condizioni la fiducia nelle istituzioni crolla. A questo punto posso affermare che in futuro ci penserò a lungo prima di investire i miei soldi».  

Roberta Zarcone

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