Carenze di organico, rischio disservizi, turni massacranti e scelte non sempre condivise. La soluzione? All’orizzonte nemmeno si vede. Una polveriera chiamata assistenza sanitaria d’emergenza del 118. Un tema sempre caldo perché riguarda la prima linea del soccorso e che, ormai da due anni, deve fare i conti con alcune conseguenze legate alla pandemia da Covid-19. Per capire la portata di questo mix di problemi bisogna partire dai numeri. Nell’isola sono 251 le postazioni gestite dalla Seus – società partecipata con la maggioranza delle quote della Regione e per il resto dalle aziende sanitarie -, di cui 62 nel palermitano, 42 in provincia di Catania e sei nel capoluogo etneo. Un lungo elenco in cui si alternano, con turni sulla carta da 8 a 12 ore, equipaggi fatti da autisti soccorritori, infermieri e medici. Tre figure che però non sempre fanno parte di una squadra di soccorso. Il grosso delle postazioni, infatti, garantisce l’assistenza anche senza i camici bianchi. In quest’ultimo caso autisti e soccorritori si occupano delle postazioni con mezzi di soccorso di base che nell’Isola sono in tutto 132.
Secondo i dati del piano operativo strategico del 118 in Sicilia i dipendenti sono 3164. Un bacino che fa sempre meno gola agli specializzandi e su cui pesa enormemente la pandemia. «Come medici del 118 guadagniamo 33 euro l’ora, chi invece si occupa dei tamponi per il Covid arriva a 40 euro». A parlare è Emanuele Cosentino, medico 64enne e responsabile regionale del 118 per la Fismu Cisl. «Il nostro lavoro – racconta a MeridioNews – è sempre più faticoso e meno allettante. Cerchiamo di coprire i turni dei medici mancanti facendo il plus orario anche su altre ambulanze. Io, per esempio, mi ritrovo a coprire anche Misterbianco o Gravina di Catania». Restando nella provincia etnea negli ultimi mesi ha fatto discutere la scelta di declassare la postazione medicalizzata attiva all’interno dell’ospedale Cannizzaro. Da settembre, come recita una nota, è stato messo nero su bianco il trasferimento dell’ambulanza presso la postazione di Acireale. Sede in cui ormai da tempo si attendeva l’arrivo dei medici a bordo dei mezzi di soccorso anche per la sua vicinanza «strategica», si legge nel documento, con lo snodo autostradale della Messina-Catania. Al Cannizzaro così restano autisti, soccorritori e infermieri professionali per formare gli equipaggi di base.
Una sorta di declassamento a cui da gennaio si è provato a dare un freno con l’invio di alcuni medici per effettuare dei turni di straordinario aggiuntivi. Il problema però è tutto legato alla carenza di personale. «Secondo i decreti ministeriali ci vorrebbe un’ambulanza medicalizzata ogni 60mila abitanti mentre a Catania sono soltanto due per tutta la città, più un mezzo medico». La mancanza di personale si riflette anche in provincia, nelle postazioni 118 di Bronte, Mascali, Giarre, Misterbianco, Gravina di Catania e Paternò. «Il problema così è irrisolvibile perché manca la materia prima e cioè i medici. L’Asp ha tentato di incentivare il plus orario aumentando la retribuzione per le prime 48 ore mensili ma non basta», continua Cosentino.
C’è poi il nodo dei Presidi territoriali d’emergenza, pensati per prestare le prime cure e spesso ricavati in ex ospedali come avviene a Randazzo, Linguaglossa, Adrano o nel territorio del Calatino a Ramacca, Grammichele, Vizzini e Mineo. In Sicilia erano 39, alcuni sono stati chiusi e, come disposto dalla rete sanitaria regionale, altri verranno tagliati. I medici di questi presidi in alcuni casi sarebbero stati stanziati per il 118, in una sorta di spoglia a Cristo e vesti Maria, cioè togliere a qualcuno – i Pte – per dare ad altri, – il 118 -, in un sistema che rimane comunque indebolito.
C’è una soluzione a tutto questo? «Non in tempi brevi – spiega Cosentino – Ci sarebbe bisogno di una migliore qualificazione del ruolo. La Regione non rinnova il contratto dal 2007, sono passati 15 anni». La tendenza, sentendo gli addetti ai lavori, sembrerebbe quella di demedicalizzare il sistema del 118 sul modello Lombardia, Regione con cui la Sicilia ha sottoscritto un protocollo d’intesa nel 2018 per dare vita al nuovo corso della gestione dell’emergenza sanitaria nell’Isola. Per capire quello che sarà bisognerà aspettare, continuare a fare i conti con la crisi dei medici e affidarsi alle pezze che verranno messe in questo sistema diventato una polveriera.
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