C’è ancora attesa per uno degli snodi principali del processo Iblis: le richieste di condanna da parte dell’accusa. Prevista per questa settimana, è invece slittata all’inizio della prossima. Tra la tensione degli imputati e dei familiari che attendono in un clima di continua scommessa sui numeri che verranno pronunciati dai pubblici ministeri, i magistrati continuano la loro lunga requisitoria. Che lunedì terminerà alla sua quinta udienza. Nell’ultimo appuntamento l’attenzione si è concentrata su due delle vicende più complesse affrontate nel processo sulle presunte infiltrazioni politico-mafiose-imprenditoriali nel Catanese: il progetto per il centro commerciale Tenutella – oggi Centro Sicilia – e la costruzione di una decine di villette a Ramacca. Lavori in cui sarebbe stata interessata Cosa nostra etnea, con non pochi scontri anche interni all’organizzazione mafiosa.
Protagonista del primo progetto, quello per la Tenutella, sarebbe stato secondo i pm Giuseppe Ercolano, cugino e cognato del boss Nitto Santapaola, deceduto a luglio 2012. «Uscito dal carcere nel 2004, continuava a interessarsi a livello dirigenziale del clan – racconta il pm Antonino Fanara – Vincenzo Aiello (imputato in Iblis e presunto rappresentante provinciale di Cosa nostra etnea, ndr) lamentava l’interesse anche personale, e non solo per l’organizzazione, di Ercolano nel progetto Tenutella». Di cui u vecchiu o u zu Pippu, come veniva chiamato dagli affiliati, avrebbe detenuto in maniera fittizia anche alcune quote.
Tutto comincia con l’interesse di Rosario Ragusa (condannato per concorso esterno nel rito abbreviato) a una serie di terreni in contrada Cubba, pur non avendo la liquidità necessaria all’acquisto. Così entra in contatto con l’Ira costruzioni, ex azienda del cavaliere del Lavoro Gaetano Graci, acquisita in parte dai Ferrari di La Spezia: gli stessi che avrebbero dovuto finanziare e costruire il centro commerciale. Almeno fino a quando non sarebbero stati costretti a lasciare l’affare dalle continue minacce ed estorsioni di Mario Ercolano, spiegano i pm. Se da un lato l’Ira sarebbe stata protetta dall’ala del clan Santapaola che faceva capo ai Mirabile, altri interessi nel progetto erano quelli della fazione Ercolano del clan. Senza considerare il progetto parallelo per un altro centro commerciale, nei terreni di fronte, che stava sviluppando Mario Ciancio Sanfilippo, imprenditore ed editore-direttore del quotidiano La Sicilia. Una vicenda indagata dalla procura etnea in un procedimento distinto.
Dopo il passo indietro di Ira e una causa giudiziaria, Ragusa va avanti. «E nel 2008 avviene il colpo di scena – continua Fanara – Il 50 per cento delle quote di Tenutella srl vengono vendute da Ragusa all’imputato Giovanni D’Urso, sei mesi prima che la Tenutella fosse venduta per intero a una società sarda e il provento andasse ai due soci: circa due milioni a Ragusa e cinque a D’Urso. I due sono anche accusati di estorsione ai danni di alcuni proprietari terrieri affinché questi vendessero a loro ad un prezzo stabilito». «Per questa cosa della Tenuterra (evidente storpiatura di Tenutella secondo i magistrati, ndr) si stanno ammazzando tra di loro. Sta succedendo una guerra a Catania», è il riassunto della vicenda fatto da due affiliati in carcere.
Meno conflittuale ma ugualmente complesso sarebbe stato invece un altro affare di Cosa nostra etnea, questa volta a Ramacca. La costruzione di una serie di villette da parte della cooperativa Enotria, in un primo momento da realizzare con dei finanziamenti della Regione Sicilia mai arrivati. «Aiello voleva fortissimamente realizzare queste villette, per il tramite della ditta di Carmelo Finocchiaro, ma aveva due problemi – spiega il pm Agata Santonocito – Uno interno all’organizzazione di vincere la concorrenza di Angelo Santapaola che sponsorizzava un altro imprenditore e consigliere comunale di Ramacca, Franco Ilardi, e l’altro di pagare la messa a posto a Catania prima del concorrente». Se il primo problema si è autorisolto per la morte di Santapaola, il secondo per i magistrati era nelle mani di Pasquale Oliva e di suo cognato, l’insegnate di Informatica e assessore comunale Giuseppe Tomasello che si sarebbe dovuto occupare dei finanziamenti regionali.
La cooperativa Enotria aveva intanto scelto un’altra ditta per i lavori, prima dell’arrivo proprio di Finocchiaro. In mezzo, un botta e risposta di denunce di minacce tra i soci – come Tomasello – e i vertici della cooperativa Salvatore Petralia e Francesco Alampo. «Nei racconti di Tomasello rimane però nebulosa la motivazione per cui si scelse Finocchiaro per i lavori, che sembra dovuta a cause fortuite: era una persona simpatica, perbene, che frequentava la chiesa e diceva di poter fare questi lavori – continua il magistrato – E si affida la propria casa, comprata faticosamente con i propri soldi del lavoro di insegnante, senza controllare i suoi lavori pregressi? Appare illogico».
Più logico sembra invece ai magistrati che Tomasello sia caduto nella rete di Cosa nostra etnea, sebbene lontano da certi ambienti per educazione e vita quotidiana. Fatta eccezione per il rapporto di parentela con Pasquale Oliva, presunto reggente mafioso del Calatino secondo i magistrati. «Ed è stato forse proprio il cognato a portare il virus della mafia nella sfera familiare di Tomasello – conclude Santonocito – Che ha più volte incontrato Vincenzo Aiello, non per un caffè e non una sola volta come ha invece raccontato lo stesso imputato; e che più volte è stato in contrada Margherito (sede di diversi incontri mafiosi, ndr), come per la festa per l’elezione di Angelo Lombardo».
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