Mentre a gennaio si attende la requisitoria dei pubblici ministeri, a Iblis parlano gli imputati. Si svolgono così queste settimane nelle aule giudiziarie del carcere di Bicocca, dove prosegue il processo ordinario sulle presunte collusioni tra politica, mafia e imprenditoria nella provincia di Catania. Udienze intense, lunghe anche cinque ore, che iniziano a fare intravedere la fine di uno dei faldoni pià corposi della procura etnea. Tra gli esami più attesi, non avverrà quello del presunto boss di Palagonia e Ramacca Rosario Di Dio, che si è rifiutato; mentre si dovrà attendere fine mese per ascoltare la versione del principale politico coinvolto: Fausto Fagone, già sindaco di Palagonia e deputato regionale Pid, al momento residente in Svizzera. In dubbio anche la partecipazione di Vincenzo Santapaola, figlio di Nitto, perché «sottoposto a pesanti terapie a base di oppiacei e altri farmaci molto invasivi – spiega il suo legale Giuseppe Strano Tagliareni – Allo stato non ha la necessaria lucidità per potersi sottoporre ad esame, pur essendo una sua ferma intenzione».
Ad aprire gli esami degli imputati è l’altro politico locale del processo, Giuseppe Tomasello, due volte assessore alle Attività produttive del Comune di Ramacca dal 2007 al 2009, candidato con Forza Italia e poi transitato nelle file dell’Udc. Secondo l’accusa, Cosa Nostra si sarebbe servita proprio del suo ruolo politico per ottenere favori, lavori e autorizzazioni. Come nel caso della costruzione di una decina di villette a Ramacca, affare nel quale Tomasello era direttamente interessato come socio della cooperativa che avrebbe dovuto realizzare il progetto e futuro inquilino di una di queste abitazioni. Un affare in cui ci sarebbe stato anche lo zampino di Cosa Nostra, dimostrato dall’interesse di Vincenzo Aiello, ritenuto in quegli anni il capo provinciale dell’organizzazione etnea. E di cui Tomasello non poteva non sapere, lo incalzano i pm, anche in virtù delle sue parentele: con i co-imputati Pasquale Oliva, suo cognato e ritenuto il referente mafioso per Palagonia, e indirettamente con Rosario Di Dio – consuocero di Oliva -, presunto boss delle zone di Palagonia e Ramacca.
Tra le intercettazioni, ce n’è una del 2008 che riprende Tomasello a casa del geologo Giovanni Barbagallo, ritenuto il tramite tra Cosa Nostra e la politica che conta. «Ero stato invitato diverse volte da Barbagallo e da Finocchiaro (Carmelo, imprenditore co-imputato e, secondo i magistrati, braccio destro di Aiello nel settore imprenditoriale). Quando sono arrivato, ci è venuto incontro Aiello che si è presentato racconta l’ex assessore Era una persona che sapeva il fatto suo, che aveva una certa influenza sugli altri. Per me Aiello è rimasto un punto interrogativo». Anche perché, pur non essendo formalmente coinvolto nella cooperativa, «ne parlava ed era a conoscenza di molte cose che solo Finocchiaro (il primo costruttore che si è autoproposto per le villette, ndr) poteva avergli raccontato. Così ho capito che si affidava a lui». Nessuno però, giura Tomasello, in quelle occasioni gli ha mai chiesto di «fare delle cose illegali che implicassero la mia figura di politico».
Eppure, subito dopo l’incontro alla masseria di contrada Margherito, è lo stesso Oliva a mettere in guardia il cognato: «Tornato in macchina, mi ha detto “Tu qua non ci devi più venire” e io ho capito che era meglio non fare domande». Nonostante le villette, nonostante i soldi investiti, nonostante il suo ruolo pubblico. «Penso che chiunque al mio posto si sarebbe comportato come me», conclude Tomasello.
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