«Compare buongiorno, io fino a domani sera sono qua a Napoli. Mi date l’onore e il piacere di vedere a mio compare? Ve lo chiedo umilmente per piacere, se mi potete fare questa cortesia, perché gli ho portato un parente mio che lo vuole conoscere, punto e basta. E per salutarlo». Giuseppe Campagna è appena arrivato a Napoli, insieme a Concetto Bonaccorsi – entrambi tra i 40 destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare dell’operazione Tricolore che ha smantellato due gruppi dediti allo spaccio nel quartiere San Berillo Nuovo a Catania – e parla al telefono con un intermediario che deve metterlo in contatto con il fornitore.
Il 60enne Pippu u magu, infatti, per il gruppo legato al clan Cappello-Bonaccorsi che gestiva la piazza di spaccio di corso Indipendenza – quella contrassegnata con la bandiera degli Stati Uniti d’America appesa al palo dell’incrocio con via La Marmora – era una sorta di pr. Addetto alle pubbliche relazioni per conto del clan, «incaricato di assicurare l’approvvigionamento della droga per alimentare l’attività della piazza di spaccio, curando i rapporti con i fornitori del sodalizio», come spiegano gli inquirenti. Un compito che gli avrebbe garantito «un ruolo di particolare rilevanza all’interno della consorteria criminosa», tanto da doversi confrontare solo con gli apici: Bonaccorsi (adesso pentito) e il suo presunto successore Lorenzo Cristian Monaco. Ciononostante, Campagna sarebbe stato a conoscenza delle dinamiche interne a tutto il gruppo.
Per instaurare e mantenere i rapporti con i fornitori campani, più volte Campagna deve recarsi a Napoli. La prima trasferta monitorata dalle forze dell’ordine è quella del 26 marzo del 2017. «Siamo sette ragazzacci, due macchine», precisa lui parlando al telefono senza sapere di essere intercettato. Giunto nel capoluogo partenopeo, Campagna contatta un intermediario per sollecitare un incontro con il fornitore. L’appuntamento viene fissato per la sera stessa. «Ho trovato quell’amico mio per trovare i pantaloni», dice provando a utilizzare un linguaggio criptico in una conversazione con la compagna.
Appena un mese dopo, u magu parte di nuovo alla volta della Campania, ancora in compagnia di Bonaccorsi. L’intermediario è sempre lo stesso ma il fornitore questa volta non c’è. Poco importa: morto un fornitore se ne fa un altro. Finito l’incontro, puntualmente riferisce di nuovo tutto alla compagna che, da Catania, si preoccupa per lui. «Lo sai cosa c’è nella cronaca? Caselli, caselli, qui quanto film hanno fatto. Caselli di Catania, hanno aspettato e tutto hanno trovato!», dice lei per avvisarlo della presenza di controlli di polizia ai caselli autostradali.
A un certo punto, Campagna prova a coinvolgere anche il fratello (che non risulta indagato) negli affari che gestisce. «Se ti chiama un mio amico di Napoli, non sbagliare la telefonata. Lui ti dice: “Compare buongiorno, ci prendiamo un caffè? Ci vediamo?” e tu mi chiami e me lo dici. Va bene? Ti dimentichi questo particolare? Non sbagliare e non t’abbabbaniri (non farti prendere alla sprovvista, ndr)». Raccomandazioni ripetute più volte nonostante l’apparente banalità dell’incarico.
Quello napoletano, comunque, pare non fosse l’unico canale di approvvigionamento per la piazza di spaccio di corso Indipendenza. In una intercettazione dell’aprile del 2017 Campagna chiede a un certo Massimo (non identificato) la consegna di «cinque buste del pane, quelle marroni, quelle della carta del pane». Per sollecitare il suo fornitore, in una telefonata di poco successiva, dalla «carta del pane» si passa ai pantaloni. «Quanti te ne sono rimasti di quei pantaloni?», chiede. Caffè, pane o pantaloni che dir si voglia, la droga veniva conservata in casa di Gaetano Spampinato, al civico 10 di via Francesco Baracca.
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