I sindaci frenano sulla disobbedienza di Orlando «La legge si rispetta, anche se non si condivide»

Una generale «condivisione dell’anima della protesta» contro una legge che viene riconosciuta in larga parte come portatrice di «insicurezza». Ma i sindaci siciliani si fermano qui, perché, ripetono in tanti, compresi i primi cittadini che hanno fatto dell’accoglienza un cavallo di battaglia, «noi rappresentiamo le istituzioni e la legge va rispettata sempre». Non condividono «il metodo» scelto dal loro collega Leoluca Orlando che ha ordinato di non applicare a Palermo la legge 132/2018, il cosiddetto decreto sicurezza. Uno stop – che riguarda «qualunque procedura che possa intaccare i diritti fondamentali della persona in particolare, ma non esclusivo, riferimento alle procedure di iscrizione della residenza anagrafica» – in attesa di «approfondire tutti i profili giuridici anagrafici derivanti dall’applicazione della citata legge».

La decisione ha aperto un acceso dibattito all’interno dell’Associazione dei Comuni siciliani, presieduta dallo stesso Orlando, ed è stata rilanciata da più fronti politici. Dal quasi dovuto sostegno del segretario dem, Davide Faraone, ai coordinatori di Articolo Uno, Pippo Zappulla e Mariella Maggio, fino al meno ovvio appoggio del primo inquilino di Sala d’Ercole e commissario di Forza Italia in Sicilia, Gianfranco Micciché. Ma nonostante l’invito alla disobbedienza, i sindaci restano scettici. «A me sembra che Leoluca sia andato oltre», spiega Roberto Ammatuna, sindaco Pd di Pozzallo. Uno che ha duramente criticato Salvini e che vive sulla propria pelle le conseguenze delle politiche del nuovo governo. «Qui abbiamo sempre l’hotspot – spiega – ma mentre prima i migranti restavano 72 ore, adesso rimangono per mesi con tutto quello che questo comporta. Nella sostanza io sto con Orlando – prosegue – ma non condivido il metodo. Le leggi vanno rispettate anche se non si condividono, questo decreto è stato comunque firmato dal presidente della Repubblica. Io sono disponibile a raccogliere firme per indire un referendum».

Per i primi cittadini le sedi opportune su cui aprire la battaglia sono quelle decise dal sistema democratico. «Sappiamo come si combattono le leggi incostituzionali – sottolinea il sindaco di Petrosino, Gaspare Giacalone, al suo secondo mandato dopo aver lasciato un redditizio lavoro da banchiere a Londra per guidare il suo paese (la sua storia è finita recentemente anche sul quotidiano inglese The Guardian) – Se rispondiamo a un provocatore come Salvini con un’altra provocazione, facciamo il suo gioco. Detto questo,non dare più la residenza significa creare un esercito di fantasmi senza i più elementari diritti. Non potranno ricevere cure mediche, ne andare a scuola o trovarsi un lavoro». Nicola Cristaldi è al secondo mandato di sindaco a Mazara del Vallo. Da uomo di destra, come ama definirsi, è però agli antipodi delle politiche leghiste sull’immigrazione. «Mettere le navi da guerra alle frontiere non risolve il fenomeno delle migrazioni, che fanno parte di un esodo biblico che la storia non può bloccare», dice orgoglioso del modello di integrazione tra tunisini e mazaresi che ormai da decenni si vive a Mazara. 

«Se questa legge è incostituzionale – ribadisce Cristaldi – dobbiamo sollevare il problema di fronte a un magistrato, visto che come Anci non possiamo rivolgerci direttamente alla Corte Costituzionale». Seguire il modello di Orlando nella sospensione del decreto? «Non mi metterò contro la legge», chiosa. Stesso approccio anche del giovane sindaco di Lentini, Saverio Bosco, con una formazione di sinistra. «Ritengo questo decreto pericoloso e criminogeno, nel senso che farà aumentare la tensione su un argomento delicato quale la questione migrazioni, ma a Lentini le leggi si rispettano. Chi non voleva essere governato da chi oggi governa, doveva pensarci prima, quando governava e quando poteva incidere sul futuro delle nostre comunità, oggi in molti devono asciugarsi le lacrime da coccodrillo e cercare di ritrovare consenso sui territori, evitando di lasciare spazio al far-west».

Molti primi cittadini non condividono l’approccio politico al problema scelto da Orlando e sostenuto da Faraone, Maggio e Micciché. E anziché alzare i toni, stanno studiando gli aspetti tecnici di una norma che, è l’opinione di molti, è aperta a interpretazioni diverse. Ne è convinto Fausto Melluso, delegato dell’Arci Palermo sul tema migrazioni, che, pur condannando i contenuti del decreto sicurezza, riconosce anche che la norma si starebbe applicando «in maniera disomogenea nei vari Comuni, proprio perché lascia dei margini importanti di interpretazione».

Ma se alcuni primi cittadini non vanno oltre la condivisione del «modello Orlando» sul piano teorico, eccone altri, invece, pronti a metterci la faccia, pur non arrivando, come a Palermo, alla sospensione del provvedimento. È la posizione, ad esempio, dell’amministrazione comunale di Caltanissetta. «Reputo il decreto Sicurezza – ammette il sindaco del capoluogo Nisseno, Giovanni Ruvolo – non coerente con la storia italiana, che ha fatto dell’accoglienza un valore. Sul piano amministrativo darò mandato agli uffici competenti di approfondire la questione sotto il profilo giuridico. Come primo passo verificheremo la possibilità di mettere per iscritto le motivazioni del diniego all’iscrizione all’anagrafe del Comune che scaturisce dall’applicazione dell’articolo 13 del decreto Sicurezza».

Anche Giacomo Tranchida, primo cittadino di Trapani, ha chiesto all’ufficio legale del Comune di approfondire gli aspetti giuridici della norma, anche alla luce della circolare di Salvini dello scorso 18 dicembre, che «dovrebbe prevedere – precisa Tranchida – la possibilità di sostituire il domicilio alla residenza ai fini della tutela dello status di rifugiato. Se così fosse, e gli uffici stanno verificando proprio questo, sarebbe un ragionamento possibile. Qualora così non sia, allora si porrà il tema, per così dire, della disobbedienza civile». Condivide l’Orlando-pensiero, ma non adotterà alcun provvedimento, infine, Antonio Rini, sindaco di Ventimiglia di Sicilia. «Farei un torto a una giusta causa – ammette – perché nel mio Comune esiste una folta comunità rumena, rispetto alla quale il decreto sicurezza non ha effetti. Non farò alcun provvedimento perché sarebbe soltanto demagogico, non ospitando alcun migrante toccato dalla norma di Salvini. E questa battaglia di tutto ha bisogno, fuorché di demagogia». Dalla parte di Salvini il sindaco di Catania, Salvo Pogliese: «Il decreto sicurezza, che tanti sindaci hanno auspicato, non sia utilizzato come strumento di lotta politica o peggio ancora di propaganda».

Salvo Catalano

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