Milano – Dopo lenciclopedia, la geografia. Il metodo di Open street map è lo stesso di Wikipedia, lobiettivo pure, condividere un sapere a cui tutti contribuiscono e che tutti riguarda. Che non può obbedire sempre e solo alle dure leggi del copyright. Anche nel caso delle cartografie.
A differenza di quanto accade negli Stati Uniti, dove una norma stabilisce che ogni dato raccolto da un ente pubblico, con soldi pubblici, deve essere pubblico, in Europa i dati geografici sono protetti, e non modificabili. Anche quelli prodotti da enti e agenzie nazionali. Quindi se cicloturisti, camperisti, psicogeografi situazionisti, archeologi o ambientalisti, ma anche scuole e università, o gli stessi enti, vogliono avere mappe che rispondano alle proprie particolarissime esigenze, o se le comprano, o se le fanno da soli. «Se hai una pizzeria e vuoi farti un volantino per la pubblicità, o ti disegni la mappa da solo, o commetti un reato penale», è un esempio estremo ma plausibile di Edoardo Marascalchi, il più attivo partecipante della sezione italiana di Open street map. Nel sito (www.openstreetmap.org) sono ancora più espliciti: «Mandare una mappa a un amico, inserirla in un forum o metterla in un invito sono cose meno legali di quanto si pensi».
Obiettare che si potrebbero usare, come in effetti si fa, le schermate di Google Maps, non vale, perché «i dati che usa sono a loro volta protetti da copyright». Provengono dalle due maggiori aziende mondiali che si occupano di mappature, Navteq e TeleAtlas. Aziende appena acquistate, la prima da Nokia per oltre 8 miliardi di dollari, la seconda da TomTom per 3 miliardi, tanto per dare unidea del giro daffari. E quando si usano come sfondo le mappe di Google, come fa per esempio il sito pisteciclabili.com, si produce un«opera derivata» che resta protetta dal copyright dei dati sulla quale si basa. In poche parole, anche le informazioni dei cicloturisti sarebbero proprietà di Google, che se sparisse dal web le porterebbe con sé. O che, in teoria visto che ciò non accade, potrebbe anche utilizzarle per fini commerciali propri (per esempio produrre mappe per cicloturisti).
Nato nellagosto 2004 a opera del londinese Steve Coast, Open street maps conta circa 30 mila utenti, un anno fa erano 5 mila. In Italia non sono ancora molti, unottantina (a settembre erano in sedici), ma agguerriti. Solo Edoardo, che è di Rovigo, si è mappato mezza Milano, città in cui si è trasferito, «scoprendo strade e luoghi che mai avrei visto, o meglio guardato. Allinizio mi sembrava una città brutta, ora mi sembra bellissima». La raccolta dei dati si fa col Gps, a piedi in bici o in auto, poi si inseriscono nel sito di Osm (ci sono le istruzioni, chiunque può diventare «cittadino cartografo»). Si può anche lavorare direttamente dal pc di casa, inserendo informazioni (nomi delle vie, sensi unici eccetera) sulla «base» satellitare, dono di Yahoo. Il risultato è una mappa simile a quella di Google, ma con la non trascurabile differenza di essere completamente libera.
Periodicamente si tengono dei Mapping party, il primo è stato a Merano lo scorso novembre, per l’occasione il Comune ha deciso di «liberare» i propri dati. A gennaio è stato il turno di Pavia e poi di Arezzo, dove con il sostegno del Comune il centro città è stato completamente mappato. A Perugia si sono trovati in febbraio, il prossimo è previsto a Rovigo, metà aprile. Osm collabora anche con la più istituzionale Gfoss (Geographic Free and Open Source Software, www.gfoss.it), associazione italiana fondata da specialisti dei sistemi informativi territoriali per il libero accesso ai dati geografici e per la diffusione anche in tale settore del software libero, open source.
I dati inseriti non sono ancora molti, la speranza è che Osm possa eguagliare il successo di Wikipedia e diventare unimportante fonte di informazione. A chi si faccia venire dei dubbi sullattendibilità dei dati che chiunque può inserire, Edoardo risponde con un esempio: «A Milano cè una parallela a via Sarpi che i navigatori indicano con il senso unico sbagliato e non sono pochi quelli che ci si infilano contromano». Senza contare che le mappe sono tarate su un pubblico generico: «Le indicazioni sono per gli automobilisti, ma non per i camionisti. Che non possono percorrere determinate strade, o passare sotto certi ponti bassi, solo che nessuno glielo dice».
Lerrore in Osm, inoltre, può essere corretto dagli stessi utenti. «Accade anche con i navigatori – puntualizza Edoardo – che in effetti usano le segnalazioni per gli aggiornamenti, che però poi si rivendono, a tutti, anche quelli che hanno contribuito a costruirli». Senza contare che «nelle mappe proprietarie gli errori non solo ci sono, ma sono voluti. Si chiamano easter eggs, ovetti di pasqua, sono errori piccoli, il nome di una via con una lettera sbagliata per esempio, servono per identificare le mappe proprie e beccare chi copia». Se il sistema è vulnerabile, casomai è per motivi politici, e di questo Edoardo e Osm ne hanno già esperienza, con «due contributori, uno grecocipriota e uno turcocipriota, che stanno esasperando lintera comunità a furia di farsi la guerra sulle strade di Cipro, che ognuno vorrebbe chiamate nella propria lingua». E se anche in Italia un senso unico mette daccordo tutti, si temono battaglie campali su piazze, strade e interi paesi, in nome del dialetto locale.
L’IDEA
Open Street Map
Il sito, creato nellagosto 2004 dallinglese Steve Coast, si ispira alla filosofia di Wikipedia. Chiunque può frequentare o registrarsi allindirizzo http://www.openstreetmap.org per avere a disposizione cartine di tutto il mondo. I dati vengono raccolti col Gps, a piedi in bici o in auto e poi si inseriscono nel sito OSM. Si può anche lavorare dal pc di casa, inserendo nomi di vie, sensi unici, piazze, sulla base di mappe satellitari regalate da Yahoo.
Wikipedia
E la grande enciclopedia gratuita costruita voce per voce dagli internauti. Chiunque si ritenga esperto di un argomento, scrive larticolo. Eventuali errori vengono rapidamente corretti dagli utenti del Web. Pare che lattendibilità sia equivalente alle più celebri enciclopedie cartacee.
(Articolo ripreso da www.lastampa.it, pubblicato il 16 marzo 2008)
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