Anche se reo confesso e pentito, non si dimentichi l’autocritica che fece qualche anno fa, ricordando di essere stato nella gioventù nazista e arruolato nelle SS, Gunter Grass, uno dei maggiori intellettuali tedeschi viventi, sotto sotto non ha tradito le sue vere e imbarazzanti inclinazioni antisemite che, come è noto, sono anche figlie di quella cultura ripudiata. L’ultima opera, un insignificante componimento poetico giustamente rifiutato da molte autorevoli testate per il suo contenuto eversivo (ma sarebbe stato meglio che il rifiuto fosse stato giustificato dalla mediocrità dell’opera stessa), è infatti un evidente manifestazione di volgare antisemitismo.
Al di là della incoerenza dei comportamenti, pentimento e ricaduta nel peccato, mi pare opportuno aggiungere a quanto oggi si legge sui giornali qualche personale considerazione sulla vicenda e sull’uomo Grass, bypassando i meriti di scrittura che l’Accademia di Stoccolma, sodalizio accusato spesso di faziosità, visto che ha escluso molti meritevoli come lo scrittore argentino Jorges Luis Borges, gli ha riconosciuto laureandolo col Nobel per la letteratura nel 1999. La prima riguarda il suo pentimento. E’ strano che il pentimento sia giunto quando qualcuno, scavando nel passato di quest’uomo divorato dal morbo dell’azione, aveva trovato tracce precise di quel poco edificante passato giovanile. E così, il colpo di teatro, un riconoscimento di un peccato che piuttosto di richiamare disgusto e disdoro all’immagine di un intellettuale di frontiera finisce per rendere più luminosa la sua figura assegnandoli la grandezza, che appartiene a pochi, di chi sa riconoscere i suoi sbagli.
La seconda considerazione riguarda uno dei drammi del nostro tempo di cui, anche il grande scrittore Grass, sembra soffrire. Parlo della rincorsa al sensazionale per fare immagine. Voglio essere cattivo quel tanto necessario a stigmatizzare il comportamento e mi lascio andare ad un’affermazione opinabile sul fatto che il nobel Grass, più che obbedire ai sentimenti, abbia obbedito alle leggi mediatiche. La sua immagine infatti, in questi ultimi anni, era divenuta opaca, lo scrittore, esaurita la vena artistica – basta dare una superficiale occhiata alle ultime opere di Grass per rendersene conto – non riusciva a interessare il grande pubblico con il quale aveva tradizionalmente dialogato. In poche battute, il ruolo del santone era sfumato nella patetica contemplazione del passato.
Allora, che c’è di meglio del colpo di testa, di riesumare dal profondo della propria memoria quanto era stato necessario sigillare nella tomba dell’indesiderato. Ecco allora, non me ne voglia l’autore del “Tamburo di latta”, un rigurgito antisemita che, purtroppo, si nasconde anche nelle profondità carsiche dell’inconscio di tanti intellettuali impegnati.
Potrebbe tutto, come spesso si fa con benevola sentenza, essere fatto passare come episodio perdonabile di senilità se il fanatismo fondamentalista che percorre certe culture e che nello scritto del nobel potrebbe trovare alimento e giustificazione, non costringesse, quanti crediamo nella pacifica convivenza ad una attenzione militante prescindendo dalle posizioni politiche, a chiedere una forte condanna morale per manifesta indegnità per il vecchio e maniacalmente presenzialista Gunter Grass.
foto tratta da castala.com
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