I resti nella grotta dell’Etna sono di un uomo che zoppicava Continuano le indagini per dare un’identità a mister Omega

Il mistero dei resti umani ritrovati in una grotta sull’Etna resta ancora fitto. E gli inquirenti continuano a seguire diverse piste investigative per provare ad arrivare all’identità di quello che, in questi mesi, è stato soprannominato mister Omega. Per via della marca dell’orologio da polso – fermo alle 10.55 di un giorno e di un anno non precisati – ritrovato insieme alle ossa e ad altri oggetti nell’anfratto stretto e lungo nel territorio di Zafferana, lungo la strada provinciale 92 in località Cassone. E sono stati proprio alcuni di questi oggetti ad aiutare, fin da subito, nella datazione del cadavere: tre gettoni, alcune monete di 50 e 100 lire del 1977, il frammento di una pagina del giornale La Sicilia del 15 dicembre del 1978 che è rimasto incredibilmente impresso per più di quarant’anni su una bottiglia di vetro. Adesso per andare avanti nelle indagini, si aspettano i risultati di alcuni esami delle ossa che si trovano ancora nelle mani dei periti e dei Ris per ulteriori approfondimenti. 

Tra i primi nomi venuti fuori c’è quello del
giornalista del L’Ora Mauro De Mauro. A lui si è pensato subito per il particolare di una malformazione al volto che il cadavere presenta e che ha ricordato quello del cronista scomparso da Palermo nel settembre del 1970, sette anni prima rispetto alla datazione delle monete. Un altro nominativo venuto fuori è quello dell’imprenditore palermitano Giovanni Pollara, vittima di lupara bianca di cui si sono perse le tracce dal novembre del 1979. In questo caso a non convincere è il luogo di provenienza. Gli investigatori, infatti, tendono a escludere che l’uomo sia arrivato o sia stato portato in quella zona, che all’epoca era sì conosciuta ma comunque poco frequentata e non abitata, da troppo lontano o da troppo vicino. Se fosse una persona scomparsa da uno dei territori del circondario, qualcuno si ricorderebbe di uomo con quelle caratteriste fisiche particolari. Oltre a quella al volto, infatti, ce n’è una all’anca da cui si evince che l’uomo ritrovato nella gotta fosse zoppo

Un’altra identità supposta è quella di 
Giuseppe Balsamo, l’usciere del tribunale di Catania con la passione per la musica e il canto che è scomparso il 20 giugno del 1978 all’età di 28 anni. Diversi in meno rispetto a quelli attribuiti al cadavere, che vanno dai 35 ai 45, ma senza che siano ancora stati effettuati esami – specifici e molto costosi – che potrebbero stabilire l’età con più precisione. Quando scompare, Pippo – così lo chiamavano tutti – viveva da solo con un canarino al civico 336 di via Messina, nel quartiere Picanello del capoluogo etneo. L’ultimo giorno in cui è stato visto, mentre vendeva per strada un paniere di agrumi, Balsamo pare fosse turbato e agitato perché nella zona c’erano polizia e carabinieri. Per i tre giorni successivi alla sua scomparsa, nell’appartamento rimane accesa una radio con la musica ad alto volume. Le cronache dell’epoca raccontano che quando i carabinieri, contattati dai vicini, aprono la porta, trovano la casa molto in disordine con alcuni mobili rotti e un biglietto con la scritta “Ho pagatto tutto“. Proprio con l’errore di una t di troppo nel verbo. Balsamo scompare a bordo della sua motocicletta, anche questa mai ritrovata, prima di potere partecipare alla finale del Pomofiore. Un programma televisivo di Telecolor che era una sorta di Corrida locale, in cui il pubblico usava pomodori e fiori di plastica per giudicare le esibizioni dei concorrenti. 

Quelli della scomparsa di
mister Omega sono anche gli anni in cui, per effetto della legge Basaglia, chiudono gli ospedali psichiatrici. Dunque, non è escluso che l’uomo rimasto ancora senza nome possa essere una persona che, fino a quel momento, aveva vissuto in una di quelle strutture. Lungo la strada che da Zafferana porta sull’Etna oggi ci sono ancora due cliniche per la riabilitazione. Dalle verifiche che sono già state fatte, però, non sono emerse denunce di scomparsa compatibili. Tuttavia, si tratta di anni in cui i registri non erano ancora digitalizzati. Stando a quanto ricostruito finora, inoltre, non ci sarebbero elementi che potrebbero fare pensare a un delitto con modalità tipiche delle organizzazioni mafiose dell’epoca. È stato escluso, infatti, che quella di mister Omega sia stata una morte violenta: non ci sono segni di costrizione fisica per l’uomo che in quella grotta è entrato sicuramente da vivo ed è stato ritrovato in posizione distesa. Nessuna contusione, nessuna frattura, nessuno strappo ai vestiti. Un paio di pantaloni scuri, una camicia chiara a righe, un leggero maglione di lana, una cravatta scura, una mantellina di nylon verde scuro, un cappello di lana con pon pon, degli scarponcini Pivetta numero 41 e un piccolo pettine con custodia.

Per un periodo, le indagini si sono concentrate sul
codice alfanumerico del costoso orologio. Un numero seriale impresso nella parte posteriore del quadrante che fa risalire alla data di fabbricazione e al luogo in cui è stato venduto. Ma non direttamente a chi lo ha comprato e, ancora meno, al proprietario anche perché potrebbe essere stato ricevuto in dono, ereditato da un parente morto o addirittura anche rubato. Anche i nominativi presenti sull’interno foglio di giornale, a cui si è arrivati dal frammento ritrovato impresso nella bottiglia, sarebbero già stati esaminati senza però che abbiano portato a nulla. Ci sono ancora poche certezze e molti dubbi in questa vicenda che è venuta alla luce tramite una scoperta del tutto casuale che sembra l’incipit di uno dei romanzi di Andrea Camilleri. A farla è stata Alma, una cagnetta pastore tedesco di quattro anni dei militari del Soccorso alpino della guardia di finanza che, durante una esercitazione alle pendici dell’Etna, si è pure presa un rimprovero dal suo addestratore. Invece di rispondere ai comandi, cambiava direzione e cercava di entrare nella grotta. Finite le prove, è stata la curiosità di un operatore, che è anche uno speleologo, a spingerlo a entrare e a capire che ad attirare l’animale era stato l’odore di quei vestiti ritrovati insieme ai resti dell’uomo che stavano lì da almeno una quarantina d’anni. 

Marta Silvestre

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