«Ho del tempo che dedico anche a queste cose». Quando, nel tardo inverno di tre anni fa, MeridioNews svelò l’esistenza di una loggia massonica guidata dal funzionario regionale Lucio Lutri, quest’ultimo alle domande sui rapporti con grembiuli, squadre e compassi chiosò specificando che si trattava di un’interesse culturale riguardante l’elevazione dello spirito. Insomma una faccenda personale, nulla a che vedere con il ruolo pubblico. D’altra parte, le carte recuperate da questa testata in un cassonetto davanti al dipartimento regionale all’Energia erano colme di riferimenti alla crescita interiore. «Edificare templi alla virtù, scavare prigioni al vizio», per esempio, era uno degli obiettivi citati nella cerimonia di iniziazione di Lutri a maestro venerabile della loggia Pensiero e Azione.
All’indomani, però, del suo arresto con la pesante accusa di concorso esterno in associazione mafiosa la sensazione è che le attività del funzionario massone siano state alimentate da ben altro tipi di interessi. A partire dell’attenzione che Lutri, secondo i magistrati della Dda di Palermo, avrebbe dato agli uomini della famiglia mafiosa di Licata, guidata dal 78enne Giovanni Lauria, conosciuto come u prufissuri e descritto come padrino d’altri tempi. «Uomo all’antica che non vuole sentire di femmine, di bambini, che non vuole che circola la droga», dice di lui Giovanni Mugnos. Di mestiere agricoltore, Mugnos è indicato come uno dei componenti del clan con cui Lutri avrebbe avuto a che fare, grazie anche al rapporto precedentemente instaurato con Gino Casa. Ma dentro la mafia licatese, il funzionario regionale – indicato anche come «il dottore di Palermo» – avrebbe avuto anche un fratello massone. Vito Lauria, figlio del capomafia Giovanni, è Gran maestro della loggia Arnaldo da Brescia.
Gli uomini del Ros dei carabinieri di Palermo hanno monitorato i contatti tra Lutri e la cosca per circa due anni, individuando una lunga serie di episodi da cui emergerebbero i reciproci interessi tra le parti. Una presunta comunione d’intenti che peraltro a ottobre dello scorso anno lo stesso funzionario regionale lascia trasparire. «Ma chi minchia ci deve fermare più», sono le parole pronunciate da Lutri a Mugnos a ottobre 2018. E in effetti, guardando a ritroso, di fatti in cui le strade percorse dal funzionario e dagli esponenti della famiglia mafiosa si siano incrociate non sono mancati. Nel decreto del gip che ha disposto il fermo, si cita una vicenda dell’estate 2016 – pochi mesi dopo la scoperta della loggia Pensiero e Azione – in cui, nella ricostruzione del Ros dei carabinieri, Lutri avrebbe addirittura chiesto un omicidio: il funzionario si sarebbe rivolto a Gino Casa per chiedere di risolvere drasticamente una diatriba che vedeva protagonisti una persona cara a Lutri e un altro uomo accusato di non avere onorato un debito. Stando alla ricostruzione degli investigatori, Casa avrebbe assicurato il proprio impegno pur specificando che l’azione – la cui riuscita non è stato possibile monitorare – sarebbe stata di carattere esclusivamente intimidatorio. «Cose brutte non ne dovremmo fare succedere», commenta Casa.
A dimostrazione della propria disponibilità nei confronti della cosca, Lutri – definito in un’intercettazione come un uomo dalle due facce «come se la mattina mi sveglio e con una mano tocco il crocifisso e d’altra ho il quadro di Totò Riina» – si sarebbe impegnato su più fronti. E quasi sempre facendo affidamento ai rapporti con i fratelli massoni che gli avrebbero garantito corsie preferenziali un po’ dappertutto. Il funzionario, per esempio, avrebbe rivelato l’esistenza di attività investigative a carico degli indagati. «Vai da Angelo e gli devi dire (Lauria, cugino di Giovanni e anche lui arrestato, ndr) – che quando deve parlare con noi prende la macchina e si fa un’oretta, perché sarà da giorno 5 che lui ha le microspie», avverte Lutri. Il quale, dal canto suo, non disdegna di alludere alla possibilità di godere di coperture importanti: «State tranquilli che io né muoio né mi attaccano (arrestano, ndr)».
Ma i servizi garantiti dal funzionario del dipartimento Energia avrebbero compreso anche altro. In due casi Lutri, considerato dal clan anche come un potenziale «trampolino di lancio per l’estero», si impegna a gestire le trattative per ridurre o addirittura estinguere i debiti contratti dagli uomini della cosca. Il capomafia Giovanni Lauria, per esempio, avrebbe dovuto pagare una grossa somma allo Stato per le spese carcerarie legate alla propria detenzione. «Mi serve la cartella esattoriale e mi servono duemila euro e basta», dice Lutri, specificando che «se tu mi dici che dobbiamo risolvere i casini noi risolviamo». Un servizio simile sarebbe stato garantito anche a Mugnos, in merito a un debito contratto con le banche. Verso invece gli imprenditori Stracuzzi, licatesi ai quali nel 2016 era stato tolto dall’autorità giudiziaria un patrimonio milionario, la promessa è addirittura quella di fare in modo di portare avanti il ricorso alla Corte europea per ottenere la restituzione dei beni. «Siccome in grazie di Dio, qualche amico ce l’abbiamo, questa carta la giochiamo», promette Lutri.
Tornando in terra siciliana, il funzionario si sarebbe speso anche per far sì che Gino Casa, titolare di un’azienda agricola i cui animali erano finiti nel mirino dell’Asp perché affetti da brucellosi, ottenesse più tempo per gestire il problema. In questo caso, Lutri suggerisce all’amico di presentarsi da un medico veterinario accusato di creare problemi e portare i saluti di Nello Di Bella, medico in servizio all’Istituto zooprofilattico, che i carabinieri identificano in Calogero Di Bella anche lui massone. E in effetti nell’elenco degli affiliati alla loggia Pensiero e Azione, recuperato da MeridioNews, il nominativo Calogero Di Bella compare nel ruolo di secondo esperto.
Infine Lutri sarebbe stato anche capace di ottenere il rinnovo di un contratto a una medica in servizio all’ospedale Papardo di Messina. La donna, nuora di un uomo ritenuto esponente del clan, in effetti da lì a poco riceverà la proposta di prolungare il rapporto lavorativo per altri sei mesi. Un’offerta che era stata preceduta da una telefonata del maestro venerabile: «La possiamo spendere qualche parola per la nostra carissima?».
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